mercoledì 18 dicembre 2013

LE FAVOLE DI ESOPO


L’AQUILA E LO SCARABEO

Un’aquila inseguiva una lepre; la quale, in mancanza d’altri protettori rivolse le sue suppliche al solo essere che il caso le pose sott'occhio: uno scarabeo. Questo le fece animo e, quando vide avvicinarsi l’aquila, cominciò a pregarla di non portargli via la sua protetta. Ma quella, piena di disprezzo per il minuscolo insetto, si divorò la lepre sotto i suoi occhi. Da allora lo scarabeo, tenace nel suo rancore, non perdette più di vista i nidi dell’aquila: appena essa deponeva le uova, saliva su a volo, le faceva rotolare e le rompeva; fino al giorno in cui, cacciata da ogni parte, l’aquila, che  l’uccello sacro a Zeus, si rifugiò presso dì lui e lo scongiurò di trovarle un luogo sicuro per covare. Zeus le concedette di deporre le uova nel suo proprio grembo. Ma quando lo Scarabeo se ne avvide, fece una pallottola di sterco, si levò a volo e, giunto sopra il grembo del dio, ve la lasciò cadere.  Zeus, per scuotersi di dosso lo sterco, si alzò e, senza avvedersene, gettò a terra le Uova. Da allora, dicono, nella stagione in cui compaiono gli scarabei, le aquile non covano.

Questa favola insegna a non disprezzare nessuno, perché nessuno è tanto debole che, offeso, non sia in grado un giorno di vendicarsi.

L’AQUILA DALLE ALI MOZZE E LA VOLPE

Una volta un’aquila fu catturata da un uomo. Questi le mozzò le ali e poi la lasciò andare, perché vivesse in mezzo al pollame di casa. L’aquila stava a capo chino e non mangiava più per il dolore: sembrava un re in catene. Poi la comperò un altro, il quale le strappò le penne mozze e, con un unguento di mirra, gliele fece ricrescere. Allora l’aquila prese il volo, afferrò con gli artigli una lepre e gliela portò in dono. Ma la volpe che la vide, ammonì: "I regali non devi farli a questo, ma piuttosto al padrone di prima: questo è già buono per natura; l’altro invece è meglio che tu lo rabbonisca, perché non ti privi delle ali se ti acchiappa di nuovo".

Sta bene ricambiare generosamente i benefattori, ma bisogna anche guardarsi prudentemente dai malvagi.

L’USIGNOLO E LO SPARVIERO

Posato su un’alta quercia, un usignolo, secondo il suo solito, cantava. Lo scorse uno sparviero a corto di cibo, gli piombò addosso e se lo portò via. Mentre stava per ucciderlo, l’usignolo lo pregava di lasciarlo andare, dicendo che esso non bastava a riempire lo stomaco di uno sparviero: doveva rivolgersi a qualche uccello più grosso, se aveva bisogno di mangiare. Ma l’altro lo interruppe, dicendo: "Bello sciocco sarei, se lasciassi andare il pasto che ho qui pronto tra le mani, per correr dietro a quello che non si vede ancora! ".

Così, anche tra gli uomini, stolti sono coloro che, nella speranza di beni maggiori, si lasciano sfuggire quello che hanno in mano.

L’USIGNOLO E LA RONDINE

La rondine consigliava all'usignolo a nidificare, come lei, sotto il tetto degli uomini e a condividere la loro dimora. Ma quello rispose: "Non desidero ravvivare la memoria delle mie antiche sventure; per questo vivo nei luoghi solitari.

Chi è stato colpito da una sventura cerca di sfuggire persino il luogo dove questa gli accadde.

IL DEBITORE ATENIESE

Ad Atene, un debitore, a cui era stato ingiunto dal creditore di pagare il suo debito, sulle prime lo pregò di concedergli una dilazione, dichiarando che si trovava in cattive acque. Non riuscì però a convincerlo; e allora gli portò una scrofa, l’unica che possedeva, e, in sua presenza, la mise in vendita. Gli si avvicinò un compra­tore, chiedendo se quella era una scrofa che figliava, e lui l’assicurò che non solo figliava, ma presentava anche una particolarità straordinaria: alla stagione dei Misteri figliava femmine, e per le Panatene, maschi. A questo discorso, l’ascoltatore rimase a bocca aperta. Ma il creditore soggiunse: " E perché ti meravigli? Questa è una scrofa che, per le Dionisiache, ti figlia anche dei Capretti"

Questa favola ci mostra come molti, per il proprio interesse, giurino senza esitare le più inverosimili falsità.

IL MORO

Un tale comperò uno schiavo moro, pensando che il suo colore fosse dovuto all'incuria del precedente proprietario. Condottolo a casa, provò su di lui tutti i detersivi e tentò di sbiancarlo con lavacri di ogni sorta. Ma non riuscì a cambiargli il colore; anzi, con tutti i suoi sforzi lo fece ammalare.

Questa favola ci mostra come le qualità naturali si conservino quali si sono manifestate originariamente.

IL PESCATORE CHE BATTEVA L’ACQUA

Un pescatore pescava in un fiume. Dopo aver teso le reti e sbarrato la corrente dall’una all’altra riva, batteva l’acqua con una pietra legata a una funicella, perché i pesci, fuggendo all’impazzata, andassero ad impigliarsi tra le maglie. Vedendolo intento a quest’operazione, uno degli abitanti del luogo si mise a rimproverarlo perché insudiciava il fiume e rendeva loro impossibile di bere un po’ d’acqua limpida. E quello rispose: "Ma se non intorbido così l’acqua, a me non resta che morir di fame".

Così anche negli Stati, per i demagoghi gli affari vanno bene specialmente quando essi sono riusciti a seminare il disordine nel loro paese.

L’ALCIONE

L’alcione è un uccello amante della solitudine, che vive sempre sul mare e fa, dicono, il suo nido sugli scogli vicini alla costa, per sfuggire alla caccia degli uomini. Un giorno un alcione che stava per deporre le uova, posandosi  su di un promontorio, scorse una roccia a picco sul mare, e andò a farci il nido. Ma una volta, mentre esso era fuori in cerca di cibo, accadde che il mare, gonfiato dal  soffio impetuoso del vento, si sollevò fino all'altezza del nido e lo inondò, affogando i piccoli. Quando, al suo ritorno l’alcione vide quel che era accaduto: "Me misero", esclamò, "per guardarmi dalle insidie della terra mi rifugiai sul mare; e il mare mi si è dimostrato ben più infido di quella.

Questo capita anche a certi uomini, che, mentre si guardano  dai loro nemici, senza avvedersene, vanno a cascare in  mezzo ad amici che sono ben peggiori di quelli.

LE VOLPI SUL MEANDRO

Un giorno un branco di volpi si radunò sulle rive del fiume Meandro per abbeverarsi. Ma, per quanto si esortassero a vicenda, non osavano scendere, intimorite dallo scroscio della corrente. Allora una di esse venne fuori a svergognare le compagne e, irridendo alla loro pusillanimità, come colei che si credeva più brava delle altre, balzò arditamente nell'acqua. La corrente la tra­sportò nel mezzo. Le compagne, stando sulla riva, le gridavano: Non abbandonarci; torna indietro a farci vedere da che parte si passa per bere senza pericolo! E quella, mentre la corrente la trascinava via: "Devo portare una risposta a Mileto , diceva,  e non voglio mancare. Quando torno indietro ve lo farò vedere"

Questa va a chi si caccia da solo nei guai, per far lo spavaldo.

LA VOLPE CON LA PANCIA PIENA

Una volpe affamata, vedendo, nel cavo di una quercia, del pane e della carne lasciativi da qualche pastore, vi entrò dentro e li mangiò. Ma quando ebbe la pancia piena, non riuscì più a venir fuori, e prese a sospirare e a gemere. Un’altra volpe che passava a caso di là, udì i suoi lamenti e le si avvicinò, chiedendogliene il motivo. Quando seppe l’accaduto: “E tu resta lì", le disse, “finché non sarai ritornata come eri quando c’entrasti: così ne uscirai facilmente .

Questa favola mostra che il tempo risolve le difficoltà.

LA VOLPE E IL ROVO

Una volpe, nel saltare una siepe, scivolò e, stando per cadere, s’aggrappò, come sostegno, a un rovo. “Ahimè!”, gli disse tutta indolorita, quand’ebbe le zampe insanguinate dalle sue spine, io mi rivolgevo a te per avere un aiuto, e tu mi hai conciato ben peggio”. “L’errore è tuo, mia cara”, le rispose il rovo, “hai voluto aggrapparti proprio a me che, d’abitudine, sono quello che si aggrappa a tutto”.

Questa favola mostra come siano stolti, anche fra gli uomini, coloro che ricorrono per aiuto a chi, d’istinto, è piuttosto portato a far del male.

LA VOLPE E L’UVA

Una volpe affamata vide dei grappoli d’uva che pendevano da un pergolato e tentò d’afferrarli. Ma non ci riuscì. “Robaccia acerba!”, disse allora fra sé e sé; e se ne andò.

Così, anche fra gli uomini, c’è chi, non riuscendo, per incapacità, a raggiungere il suo intento, ne dà la colpa alle circostanze.

LA VOLPE E IL SERPENTE

Una volpe, vedendo un serpente coricato, fu presa d’invidia per la sua lunghezza, e le venne voglia di uguagliarlo: si stese giù vicino a lui e cercò di tendersi, fino a che, per gli eccessivi sforzi, la malaccorta crepò.

Questo capita a coloro che si mettono a gareggiare coi più forti: prima di poterli raggiungere, vanno in malora.

LA VOLPE CHE NON AVEVA MAI VEDUTO UN LEONE

Una volpe che non aveva mai veduto un leone, la prima volta che per caso se lo trovò davanti, provò un tale spavento alla sua vista che quasi ne morì. Avendolo però incontrato una seconda volta, si spaventò sì, ma non proprio come la prima. Quando poi lo vide per la terza volta, trovò tanto coraggio da avvicinargli si e da attaccare persino discorso.

La favola mostra che l’abitudine rende tollerabili anche le cose spaventose.

LA VOLPE E LA MASCHERA

Una volpe penetrò nella casa di un attore e, frugando in mezzo a tutti i suoi costumi, trovò anche una maschera da teatro artisticamente modellata. La sollevò tra le zampe ed esclamò:  “ Una testa magnifica! ma cervello, niente “.

Ecco una favola per certi uomini belli di corpo ma poveri di spirito.

IL MARITO E LA MOGLIE BISBETICA

Un tale aveva una moglie bisbetica all'eccesso con tutti quelli di casa. Gli venne voglia di sapere se essa si comportava così anche nella famiglia del proprio padre, e trovò un pretesto plausibile per mandarla da lui. Al suo ritorno, dopo pochi giorni, le chiese come l’avevano ac­colta quelli di casa sua. “C’erano i bovari e i pecorai”, rispose lei, “che non mi potevano vedere”. E il marito, allora: “O moglie mia, se sei riuscita a farti odiare da quelli che escono all’alba per portar fuori il bestiame e non rientrano che la sera, che cosa mai ci si può aspettare da quelli con cui passavi l’intera giornata?”.

Così spesso dalle cose piccole si argomentano le grandi, dalle cose manifeste si arguiscono quelle celate.

L’IMBROGLIONE

Un imbroglione s’era impegnato con un tale a dimostrare che l’oracolo di Delfi mentiva. Nel giorno stabilito, prese in mano un passerotto e, copertolo col mantello, andò al tempio, si fermò in faccia all'oracolo, e gli chiese se quel che teneva tra le mani respirava o no. Se gli fosse stato risposto di no, egli intendeva mostrare il passero vivo: se invece gli fosse stato detto che respirava, l’avrebbe strozzato prima di tirarlo fuori. Ma il dio, comprendendo il suo malizioso proposito, rispose: “Smettila, uomo, perché sta in te far sì che ciò che hai in mano vivo oppure morto”.

La favola insegna che la divinità non può esser colta in fallo.

IL CIECO

Un uomo cieco si era abituato a distinguere al tatto qualsiasi animale gli mettessero tra le mani. Una volta diedero un lupacchiotto. Egli lo palpò, rimase incerto, e poi disse: “Io non so se sia figlio di lupo, o di volpe, o di altro animale del genere; quel che so bene, è che non è bestia da mandare insieme con un gregge di pecore”.

Con l’animo dei malvagi spesso traspare persino dal loro aspetto fisico.

LE RANE CHE CHIESERO UN RE

Le ranocchie, stanche di vivere senza alcuno che le governasse, mandarono ambasciatori a Zeus, pregandolo di largire loro un re. E Zeus, vedendo la semplicità dell’animo loro, buttò giù nello stagno un pezzo di legno. A tutta prima, atterrite dal tonfo, le ranocchie si tuffarono nel fondo; ma poi, dato che il legno rimaneva immobile, risalirono a galla, e giunsero a tal punto di disprezzo per il loro re che gli saltarono addosso e vi si accomodarono sopra. Infine, vergognandosi d’avere un sovrano di tal fatta, andarono nuovamente da Zeus, e lo pregarono di mandarne loro un altro in cambio, perché il primo era troppo indolente. Allora Zeus perdette la pazienza, e mandò una biscia d’acqua, che cominciò ad afferrarle e a divorarsele.

La favola mostra che è meglio avere governanti infingardi ma non cattivi, piuttosto che turbolenti e malvagi.

IL SOLE E LE RANE

Si celebravano, in piena estate, le nozze del Sole. Tutti gli animali ne erano lieti, e anche le ranocchie si davano alla pazza gioia. Ma una di esse saltò su “Perché tutta questa allegria, o sciocche? Se, una volta sposato, il Sole metterà al mondo un figlio come lui, che cosa mai non ci toccherà patire, dato che ora, da solo, riesce già a farci seccare tutti i pantani?”

Ci sono molti uomini con poco sale in zucca che festeggiano avvenimenti per cui non ci sarebbe proprio ragione di rallegrarsi.

LA MULA 

Una bella mula rimpinzata di biada si mise a scalpitare, dichiarando ad alta voce a se stessa: “Cavallo dal  rapido piede fu mio padre; ed io son tutta lui”. Ma un giorno si presentò la necessità di correre e la mula doveva farlo davvero. Quando ebbe finita la corsa, si sentì triste, e le venne in mente, all’improvviso, che suo padre era un asino.

La favola mostra che, anche quando le circostanze rendono un uomo famoso, egli non deve mai dimenticare le proprie origini, perché questa vita è piena di incertezze.

IL MEDICO E L’AMMALATO 

Un medico aveva in cura un ammalato, che gli morì. “Ecco”, diceva a quelli che ne seguivano il funerale, “se quest’uomo si fosse astenuto dal vino e avesse fatto dei clisteri, non sarebbe morto”. Ma uno dei presenti lo interruppe: “Mio caro, queste cose avresti dovuto dirle quando egli poteva approfittare dei tuoi consigli; non ora che non servono più a nulla”.
  
La favola mostra che gli amici devono prestare il loro aiuto nel momento del bisogno, e non sputar sentenze quando ogni speranza è perduta.

IL NIBBIO E IL SERPENTE

 Un nibbio afferrò un serpente e si levò a volo. Ma il sente si rivoltò, lo morse, ed entrambi caddero dall’alto. Mentre il nibbio moriva, il serpente gli disse: “Perché sei stato così folle da voler far del male a me, che non ti facevo nulla? Ecco che hai avuto il giusto castigo per avermi rapito”.

Chi fa il prepotente e oltraggia i deboli, se s’abbatte in uno più forte di lui, quando meno se l’aspetta, paga anche il male che ha fatto prima.

IL NIBBIO CHE NITRIVA

Il nibbio aveva un tempo una voce acuta, diversa da quella d’ora. Poi, avendo udito un cavallo che emetteva dei magnifici nitriti, volle imitarlo; e, ostinandosi in que­sto esercizio, a rifar bene il nitrito, non ci riuscì, ma  perse la propria voce; così non ebbe né quella del cavallo né quella che  aveva avuto prima.

Gli uomini mediocri che, mossi dall’invidia, cercano di imitare quello che è alieno dalla loro natura, perdono anche le loro doti naturali.

IL CAMMELLO E ZEUS

Vedendo un toro tutto imbaldanzito per le sue corna, al cammello invidioso venne voglia d’averle anche lui. Presentatosi dunque a Zeus, cominciò a supplicarlo che gli assegnasse un paio di corna. Ma Zeus si sdegnò con lui perché, non contento della sua forza e della sua sta­tura, voleva ancora qualche cosa d’altro. Così, non solo non gli aggiunse le corna, ma gli mozzò anche la punta delle orecchie.

Questo capita a molti, che, avidi, guardano con invidia gli altri e intanto, senza avvedersene, perdono anche quello che hanno.

IL CAMMELLO BALLERINO 

Un cammello, costretto dal suo padrone a ballare esclamò: “Ma se sono goffo persino quando cammino, altro che quando ballo!”.

La favola si può citare a proposito di qualsiasi atto di garbo.

IL CAMMELLO VISTO PER LA PRIMA VOLTA

Quando gli uomini videro per la prima volta il cammello, si spaventarono e, atterriti dalle sue dimensioni, si diedero alla fuga. Ma quando, col passar del tempo, si resero conto della sua mansuetudine, trovarono il coraggio di avvicinarglisi; poi, poco per volta, accorgendosi che esso è un animale incapace di collera, giunsero a tal punto di disprezzo che gli misero persino una  cavezza al collo e lo diedero da condurre a dei ragazzi.

La favola mostra che l’abitudine rende tollerabili anche le cose spaventose.

I DUE SCARABEI

In un’isoletta pascolava un toro, e del suo sterco vivevano due scarabei. Al sopraggiungere della cattiva stagione, uno di essi annunciò all’altro che intendeva volare sul continente; così lì ci sarebbe stato abbastanza da mangiare per il compagno rimasto solo, mentre egli, trasferitosi laggiù, ci avrebbe passato l’inverno. Aggiungeva poi che, se avesse trovato cibo in abbondanza, ne avrebbe portato anche a lui. Passò dunque sul continente e, trovatoci sterco a iosa, ma molto molle, vi si stabilì e cominciò a mangiarselo. Passato l’inverno, rivolò di nuovo alla sua isola. Quando l’altro lo vide così bello grasso e florido, lo rimproverò perché, dopo tante promesse, non gli aveva portato nulla. 

“Non devi prendertela con me” , gli rispose il compagno, “ma con quel paese, che è fatto così: da mangiare ce n’è; ma non si può portar via niente”.


IL GRANCHIO E LA VOLPE

Un granchio, uscito fuori dal mare, se ne viveva solo soletto su una spiaggia. Lo scorse una volpe affamata e, visto che non aveva proprio nulla da mangiare, gli saltò  addosso e lo afferrò. “Questa me la sono proprio meritata”, esclamò il granchio, mentre l’altra stava per ingoiarlo. Ero animale di mare e ho voluto diventare animale di terra!”.

Così, anche tra gli uomini, chi lascia le proprie faccende per immischiarsi di quel che non lo riguarda, è naturale che vada a finire in mezzo ai guai.

IL GRANCHIO E SUA MADRE

 La madre del granchio lo ammoniva a non camminare di traverso e a non sfregare il fianco contro la roccia umida. E quello: “Mamma, se vuoi che impari, cammina dritta tu, e io, vedendoti, farò come te”.

Chi vuol rimproverare gli altri, deve anzitutto viver bene lui e rigar dritto, e poi insegnare a far altrettanto.

IL NOCE

 Un noce cresciuto al margine di una strada e bersagliato dalle sassate dei passanti, disse tra sé sospirando:  “Ma sono proprio un disgraziato, io! Continuo tutti gli anni a procurarmi insulti e dolori!”

Questa favola allude a certe persone le quali, dai propri beni, non ricavano che dolori.

IL CASTORO

Il castoro è un quadrupede che vive negli stagni, e i suoi genitali pare che servano per la cura di certe malattie. Quando qualcuno lo scopre e lo insegue per tagliarglieli, esso, che sa a qual fine gli danno la caccia,sino a un certo punto, per conservarsi intatto, fugge, fidando nella velocità dei piedi; ma quando poi si vede a portata dei suoi inseguitori, si strappa da solo i genitali e li getta via; così riesce a salvare la vita.
Anche tra gli uomini, danno prova di saggezza coloro che  vedendosi minacciati a causa del loro denaro, lo lasciano perdere, per non mettere a repentaglio la loro vita.


L’ORTOLANO CHE INNAFFIAVA GLI ORTAGGI

Un tale si fermò davanti a un ortolano che innaffiava le sue verdure e gli domandò perché mai le piante selvatiche sono fonde e robuste, mentre quelle coltivate sono gracili e stente. E l’ortolano gli rispose: “Perché di quelle la terra è veramente la madre, ma di queste è soltanto la matrigna.”

Anche tra i ragazzi, chi è allevato dalla matrigna non mangia come quello che ha la propria madre.

L’ORTOLANO E IL CANE

Il cane di un ortolano cascò in un pozzo, e l’ortolano, per tirarlo fuori, scese giù anche lui. Ma il cane, pensando che egli venisse per cacciarlo più a fondo, si rivoltò al padrone e lo morse. Allora quello, dolorante, se ne tornò su dicendo: “Ben mi sta: perché affannarmi tanto per salvare un suicida?”.

Ecco una favola per gli uomini ingiusti ed ingrati.

IL CITAREDO

Un suonator di cetra da strapazzo cantava tutto il giorno tra le ben cementate pareti di una stanza, e poiché queste riecheggiavano i suoni, si immaginò d’avere una bella voce potente.  Montatosi così la testa, decise che era il caso di affrontare anche il teatro. Ma, giunto sul palcoscenico, cantò veramente da cane e fu cacciato via a sassate.

Così ci sono degli oratori che, fin che si esercitano nelle scuole fanno bella figura, ma, quando affrontano la vita pubblica, si scopre che non valgono nulla.

IL TORDO

Un tondo andava a cibarsi in una macchia di mirti, e tanto erano dolci quelle bacche che non sapeva staccarsene. Un uccellatore osservò che il luogo gli piaceva, vi mise le panie e ce lo prese. “Me infelice!”, esclamò il tordo prima di morire, “Ecco che per il gusto della gola ci rimetto la vita”.

Questa è una favola che si adatta a uno di quegli uomini sregolati che si rovinano per amor dei piaceri.

I LADRI E IL GALLO

I ladri penetrarono in una casa, ma non ci trovarono altro che un gallo. Lo presero e se ne andarono. Quando fu lì per essere ammazzato, il gallo cominciò a pregare che lo risparmiassero, dicendo che egli era utile agli uomini, perché li svegliava a buio, così che potessero attendere alle loro faccende. “Ma questa è una ragione di più per tiranti il collo”, gli risposero gli altri, “Svegliando loro, tu impedisci a noi di rubare”.

La favola mostra che quel che dà più fastidio ai bricconi sono proprio i servizi resi alle persone dabbene.

IL VENTRE E I PIEDI

Il ventre e i piedi disputavano chi di loro fosse il più forte, e i piedi continuavano a dire che, in fatto di forza, erano tanto superiori, che il ventre stesso si faceva portare  a spasso da loro. “Cari miei, se non ci fossi io a darvi da mangiare, neanche voi sareste in grado di portarmi”, rispose il ventre.

Così, anche in un esercito, il numero non conta nulla, se non ci sono dei capi col cervello a posto.

IL GRACCHIO E LA VOLPE

Un gracchio affamato s’era posato su un fico e, trovati dei piccoli fichi ancor acerbi, aspettava che diventassero grossi e maturi. La volpe che lo vedeva continuamente si  fermò, quando ne seppe il motivo, gli disse:  “Caro mio, se ti attacchi alla speranza, sbagli di grosso.

La speranza è un pastore che ti porta a spasso, ma la pancia non te la riempie.

IL GRACCHIO E I CORVI

Un gracchio che era più grosso di tutti gli altri, disprezzando i compagni della sua razza, se ne andò in mezzo ai corvi, e pretendeva di vivere con essi. Ma quelli, che non conoscevano né la sua faccia né la sua voce, lo picchiarono e lo cacciarono via. Respinto dai corvi, esso tornò allora di nuovo ai suoi gracchi. Questi, a loro volta, indignati per l’affronto, non lo vollero ricevere. Ecco come avvenne che esso fu escluso dalla società degli uni e degli altri.
Questo succede anche agli uomini che abbandonano la loro patria e preferiscono i paesi altrui: in questi sono malvisti perché sono stranieri, e si rendono odiosi ai loro concittadini perché li hanno disprezzati.

LA CORNACCHIA E IL CORVO 

La cornacchia, gelosa del corvo, il quale dà auspici agli uomini, prevede il futuro ed è perciò da essi invocato come testimonio, si mise in testa di fare altrettanto. Vedendo passare dei viandanti, volò su un albero e piantatasi là, cominciò a gracchiare a tutta forza. Al suono della sua voce, quelli si volsero spaventati, ma uno disse subito: “Niente, niente, amici, andiamo pure avanti. E’ soltanto una cornacchia, e le sue grida non significano nulla”.

Così anche tra gli uomini, chi si mette a gareggiare coi più potenti di lui non solo non riesce ad uguagliarli, ma si guadagna anche le beffe.

LA CORNACCHIA E IL CANE 

 Una cornacchia che offriva ad Atena una vittima, invitò un cane al banchetto sacrificale. “Perché sprechi i tuoi quattrini in sacrifici?”, le chiese il cane. “Tanto,la dea ti ha così in uggia che impedisce alla gente di credere ai tuoi presagi”. E la cornacchia: “Ma io le offro i sacrifici proprio per questo. Cerco di conciliarmela, dato che mi vede di mal occhio”.

Così  ci sono molti che, per paura, non esitano a beneficare quelli che li odiano.

LE CHIOCCIOLE 

Un contadinello faceva arrostire delle chiocciole e, sentendole crepitare, diceva: “Brutte bestie, mentre le vostre case bruciano, voi vi mettete a cantare”.

La favola mostra che tutto quel che si fa fuori tempo è biasimevole.

IL CIGNO PRESO PER UN OCA

Un signore allevava insieme un’oca e un cigno, non allo stesso scopo, naturalmente, ma l’uno per il canto e l’altra per la mensa. Quando giunse il momento in cui l’oca doveva far la fine per cui era stata allevata, era notte, e il buio non permise di distinguere l’uno dall’altra. Così fu preso il cigno invece dell’oca. Ma ecco che esso intona un canto, preludio di morte; col canto rivela la sua natura e, grazie alla sua voce, sfugge al supplizio.

La favola mostra come spesso la musica riesca a differire la morte.

IL CIGNO E IL SUO PADRONE 

Dicono che i cigni si mettano a cantare al momento della morte. A un tale capitò di veder messo in vendita un cigno e, sentendo che era un uccello dal canto dolcissimo, lo acquistò. Un giorno che aveva ospiti a tavola andò ad invitarlo perché cantasse alla fine del banchetto, ma in quell’occasione il cigno rimase zitto. Giunse però Il giorno in cui sentì vicina la morte, e allora intonò il suo canto di dolore. Il padrone, sentendolo, disse: “Ma se tu non canti altro che quando stai per morire, lo stupido ero io, che stavo lì a rivolgerti delle preghiere, in­vece di ammazzarti”.

Così anche tra gli uomini ci sono quelli che, ciò che non vogliono fare per piacere, lo fanno poi per forza.

I DUE CANI

Un tale che aveva due cani ne addestrò uno alla caccia e allevò l’altro per guardia della casa. Quando poi il primo, andando a caccia, prendeva della selvaggina, ne gettava una parte anche all’altro. Allora il can da caccia, sdegnato, cominciò ad insultare il compagno, perché lui andava fuori, sobbarcandosi a continue fatiche, mentre l’altro godeva il frutto del suo lavoro, senza far nulla. Il cane domestico gli rispose: “Non con me devi prendertela, ma col nostro padrone, che mi ha insegnato, non a lavorare, bensì a sfruttare il lavoro altrui”.
Così non si possono biasimare i fanciulli pigri, quando li rende tali l’educazione dei loro genitori.

LE CAGNE AFFAMATE

Certe cagne affamate che avevano visto delle pelli messe a bagno nell'acqua d’un fiume, non riuscendo ad afferrarle, stabilirono tra di loro di ber prima tutta l’acqua, per poter poi arrivare ad esse. Ma andò a finire che creparono a forza di bere, prima di giungere a toccare le pelli.

Così ci sono uomini che, nella speranza di un guadagno, si sobbarcano a pericolose fatiche e, prima di raggiungere il loro scopo, si rovinano.

IL CANE E LA CONCHIGLIA

Un cane, abituato a ingollarsi delle uova, vide una conchiglia; convinto che fosse un uovo, spalancò la bocca e con un violento sforzo riuscì a mandarla giù. Quando poi sentì il peso e i dolori di stomaco: “Ben mi sta”, disse “perché m’ero messo in testa che tutte le cose fossero uova”.

Questa favola ci insegna che chi affronta un’impresa senza riflettere può impensatamente trovarsi impigliato fra strani fastidi.

IL CANE E LA LEPRE

Un cane da caccia che aveva catturato una lepre, un momento la mordeva e un momento le leccava il muso. “Ehi, tu”, gli disse, sfinita, la lepre, “o smettila di mordermi o smettila di baciarmi, ch’io possa capire se sei per me un amico o un nemico”.

Questa è una favola adatta per un uomo ambiguo.

IL CANE E IL MACELLAIO

Un cane balzò dentro una macelleria e, mentre il macellaio era occupato, afferrò un cuore e se la diede a gambe. Il macellaio si volse e, vedendolo fuggire, esclamò:  “Ehi, galantuomo! Sta’ pur certo che ti terrò d’occhio dovunque tu sia; il cuore non l’hai mica portato via a me, sai; anzi a me ne hai aggiunto dell’altro’.

La favola insegna che le sventure servono di ammaestramento agli uomini.

IL LEONE E IL TOPO RICONOSCENTE

Un topolino correva sul corpo di un leone addormentato, il quale si svegliò e, acchiappatolo, fece per ingoiarlo. La bestiola cominciò a supplicare di risparmiarlo e a dire che, se ne usciva salvo, gli avrebbe dimostrata la sua riconoscenza. Il leone scoppiò a ridere e lo la­sciò andare. Ma dopo non molto gli capitò un caso in cui dovette davvero la sua salvezza alla riconoscenza del topolino. Alcuni cacciatori riuscirono a catturarlo e lo legarono con una corda a un albero. Il topo allora udì i suoi lamenti, accorse, rosicchiò la corda e lo liberò, soggiungendo: "Tu, quella volta, t’eri fatto beffe di me, perché non immaginavi mai di poter avere una ricompensa da parte mia. Sappi ora che anche i topi sono capaci di gratitudine”.

La favola mostra come, col mutar delle circostanze, anche i potenti possono aver bisogno dei deboli.

IL LEONE E L’ONAGRO

Il leone e l’onagro andavano a caccia di bestie selvatiche, il leone mettendo a profitto la sua forza, e l’onagro la velocità delle sue gambe. Quando ebbero catturato una certa quantità di selvaggina, il leone fece le parti; divise tutto in tre mucchi, e dichiarò: “La prima spetta al primo, cioè a me che sono il re. La seconda mi spetta come socio a pari condizioni. Quanto a questa terza, ti porterà ben disgrazia, se non ti decidi a squagliarti”.

Conviene commisurare ogni nostra azione alle nostre forze, e coi più potenti di noi non immischiarsi né associarsi.

IL LEONE E L'ASINO CHE ANDAVANO A CACCIA INSIEME

Fatta società, il leone e l’asino uscirono insieme a caccia. Giunti dinanzi ad una caverna dove c’erano delle capre selvatiche, il leone si fermò davanti all'entrata per prenderle a mano a mano che uscivano, mentre l’asino entrava e, balzando in mezzo ad esse, ragliava per spaventarle. Quando il leone le ebbe prese quasi tutte, l’asino venne fuori e gli chiese se non si era mostrato un valoroso guerriero nella cacciata delle capre. “Ma sai”, gli rispose il leone, “che persino io avrei avuto paura di te, se non avessi saputo che eri un asino?”.

Così, chi fa il fanfarone davanti a quelli che lo conoscono bene, si guadagna giustamente le beffe.

IL LEONE, L’ASINO E LA VOLPE 

 Il leone, l’asino, e la volpe fecero società fra loro e se ne andarono a caccia. Quand’ebbero fatto un buon bottino, il leone invitò l’asino a dividerlo tra di loro. L’asino fece tre parti uguali e invitò il leone a scegliere. La belva inferocita gli balzò addosso, lo divorò e poi ordinò alla volpe di far lei le parti. Essa radunò tutto in un mucchio, lasciando fuori per sé solo qualche piccolezza, e poi lo invitò a scegliere. Il leone allora le chiese chi le aveva insegnato a fare le parti così. “E’ stata la disgrazia dell’asino”, rispose la volpe.

La favola mostra che le disgrazie del prossimo sono per gli uomini fonte di saggezza.

IL LEONE INFURIATO E IL CERVO 

Un leone era infuriato. “Poveretti noi!”, disse un cervo, scorgendolo di tra le piante del bosco, “che cosa mai non farà, ora che è su tutte le furie, costui, che noi non riuscivamo a sopportare nemmeno quand’era in buona?”.

Teniamoci tutti lontani dagli uomini violenti e usi al male, quando essi si impadroniscono del potere e signoreggiano sugli altri.

IL LEONE CHE EBBE PAURA D’UN TOPO E LA VOLPE

Mentre il leone dormiva, un topo gli fece una corsa su per il corpo. Quello si destò e si girava da tutte le parti per cercare quel che gli era venuto addosso. La volpe, a quella vista, prese a canzonarlo perché lui, che era un leone, aveva paura di un topolino. “Non è che io abbia paura di un topo”, rispose lui, “ma mi meraviglio che qualcuno abbia osato correre addosso al leone mentre dormiva “.

La favola mostra che gli uomini assennati non trascurano nemmeno le piccole cose.

I LUPI E LE PECORE

I lupi, che facevano la posta a un gregge di pecore, non riuscivano ad impadronirsene a causa dei cani che lo sorvegliavano, e allora decisero di ricorrere all'astuzia per raggiungere il loro scopo. Mandarono ambasciatori alle pecore, e chiesero la consegna dei cani, affermando che erano essi i responsabili delle loro relazioni ostili. Una volta che li avessero in mano, la pace avrebbe regnato tra di loro. Le pecore, senza sospettare quel che le aspettava, consegnarono i cani; e i lupi, una volta padroni di questi, sterminarono senza difficoltà il gregge rimasto indifeso.

Così anche quegli Stati che consegnano senza difficoltà i loro capi, senza avvedersene sono tosto soggiogati dai nemici.

IL LUPO E L’AGNELLO

Un lupo vide un agnello presso un torrente che beveva e gli venne voglia di mangiarselo con qualche bel pretesto. Standosene là a monte, cominciò quindi ad accusarlo di insudiciare l’acqua, così che egli non poteva bere. L'agnello gli fece notare che, per bere, esso sfiorava appena l’acqua col muso e che, d’altra parte, stando a valle  non gli era possibile intorbidare la corrente a monte. Venutogli meno quel pretesto, il lupo allora gli disse:  "Ma tu sei quello che l’anno scorso ha insultato mio padre." E l’agnello a spiegargli che a quella data non era ancor venuto al mondo. "Bene" concluse il lupo, "se tu sei così bravo a trovar delle scuse, io non posso mica rinunziare a mangiarti.

La favola mostra che contro chi ha deciso di far un torto non c’è giusta difesa che valga.

IL LUPO E L'AGNELLINO RIFUGIATO NEL TEMPIO

Un lupo inseguiva un agnellino, e questo andò a rifugiarsi in un tempio. Il lupo cominciò a chiamarlo e ad avvertirlo che, se il sacerdote lo coglieva là, lo avrebbe immolato al dio. “Meglio immolato a un dio”, rispose l’agnello, “che sbranato da te!”.

La favola mostra che, se si deve morire, è meglio morire con onore.

LA MOSCA

Una mosca, caduta in una pentola di carne, mentre stava per affogare nel brodo, diceva tra sé: “Ebbene, io ho mangiato, ho bevuto, ho fatto il bagno; e se muoio, pazienza!”.

La favola mostra che gli uomini si rassegnano facilmente alla morte, quando essa sopraggiunge senza sofferenze.

LE MOSCHE

In una dispensa s’era versato del miele. Le mosche, accorse, se lo succhiavano, e la dolcezza era tale che non sapevano staccarsene. Quando però le loro zampe vi rimasero impigliate e, incapaci di levarsi a volo, esse si sentirono affogare, esclamarono: “Poverette noi! Per un attimo di dolcezza ci rimettiamo la vita”.

Così la ghiottoneria è causa di numerosi guai per molte persone.

LA FORMICA

Un tempo, quella che oggi è la formica era un uomo che attendeva all'agricoltura e, non contento del frutto del proprio lavoro, guardava con invidia quello degli altri e continuava a rubare il raccolto dei vicini. Sdegnato della sua avidità, Zeus lo trasformò in quell’insetto che chiamiamo formica; ma esso, mutata natura, non mutò costumi, perché anche oggi gira per i campi, raccoglie il grano e l’orzo altrui e li mette in serbo per sé.

La favola mostra che chi è cattivo di natura, anche se è gravemente punito, non muta costumi.

LA FORMICA E LO SCARABEO.

Nella stagione estiva la formica s’aggirava per i campi, raccogliendo grano e orzo, e mettendolo in serbo come sua provvista per l’inverno. Lo scarabeo l’osservava e faceva gran meraviglie della sua eccezionale attività, perché essa s’affannava a lavorare proprio nella stagione in gli altri animali hanno tregua dalle loro fatiche e si danno alla bella vita. La formica non disse nulla, lì per lì; ma più tardi, quando sopraggiunse l’inverno, e la pioggia lavò via tutto lo sterco, lo scarabeo affamato andò da lei, scongiurandola di dargli un po’ da mangiare: “Oh scarabeo “, gli rispose quella, “il cibo non ti mancherebbe ora, se tu avessi lavorato allora, quando io m’affaccendavo e tu mi canzonavi”.

Così coloro che nel momento dell’abbondanza non pensano al futuro, quando i tempi cambiano, debbono sopportare le più gravi sofferenze.

L’UCCELLATORE E LA PERNICE

Un uccellatore, essendo giunto da lui un ospite a sera tarda e non avendo nulla da imbandirgli, si volse alla sua pernice addomesticata e stava per ucciderla, quando questa cominciò ad accusano d’ingratitudine, perché intendeva ammazzarla, dopo esser stato tanto aiutato da lei che attirava gli uccelli della sua razza e glieli consegnava. “Ma questa “, disse lui, “sarà una ragione di più per sacrificarti, se non risparmi nemmeno i tuoi fratelli!”

La favola mostra che chi tradisce i suoi familiari, non acquista solo l’odio delle vittime, ma anche quello di chi si giova del suo tradimento.

LA GALLINA E LA RONDINE

Una gallina trovò delle uova di serpente e si mise a covarle con cura, finché, a forza di covare, riuscì a farle schiudere. La rondine, che era stata a guardarla, le disse: “Ma perché, stolta, vuoi allevare degli esseri che, appena adulti, cominceranno a far del male a te per la prima?”.

La perversità è incorreggibile, anche se è fatta segno ai più grandi benefici.

LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO  

Un tale possedeva una bella gallina che faceva le uova d’oro. Pensando che avesse un mucchio d’oro nelle viscere, egli la uccise, e trovò che dentro era fatta come tutte  le altre galline. Così, per la speranza di trovar la ricchezza tutta in una volta, restò privo anche del suo modesto provento.

Contentatevi di quello che avete e guardatevi dall'essere insaziabili.

IL DEPOSITARIO E IL GIURAMENTO

Un tale aveva ricevuto un deposito da un amico e contava di non restituirglielo. E poiché l’amico lo invitava a prestar giuramento, a buon conto, partì per la campagna.  Giunto alle porte della città, vide uno zoppo che stava per uscirne, e gli chiese chi fosse e dove fosse diretto. Quello rispose che era il Giuramento e che andava a punire gli spergiuri. Allora egli gli domandò quanto tempo stava, di solito, prima di tornare in una città. “Quarant’anni; qualche volta anche trenta”, rispose l’altro. Dopo di ciò, senza esitare, l’uomo prestò giuramento, affermando di non aver mai ricevuto quel tal deposito. Ma si trovò addosso il Giuramento, che lo condusse con sé per buttarlo giù da un precipizio. L’uomo protestava perché, dopo avergli dichiarato che ritornava ogni trent’anni, non gli aveva lasciato nemmeno un giorno di respiro. “Devi sapere”, gli rispose il Giuramento, “che, quando mi si vuol provocare, allora ho l’abitudine di tornare anche in giornata”.

La favola mostra che non ci sono date fisse per la vendetta di Dio contro gli empi.

IL NAUFRAGO

Un ricco Ateniese compiva, insieme con altri passeggeri, un viaggio per mare. Si levò una gran tempesta e la nave si capovolse. Mentre tutti gli altri nuotavano, l’Ateniese continuava ad invocare Atena, facendole un monte di promesse, se mai riuscisse a salvarsi. Allora uno dei naufraghi, che stava nuotando lì accanto, gli disse: “Intanto che chiami Atena, muovi un po’ le braccia anche tu! “.
Noi pure, dunque, oltre a pregar gli dèi, dobbiamo provvedere personalmente ai fatti nostri. E’ preferibile guadagnarsi il favore del cielo coi propri sforzi, anziché esser salvati dalla divinità mentre noi trascuriamo i nostri stessi interessi. 

Quando capita una disgrazia, bisogna aiutarci con tutte le nostre forze e, così facendo, invocare anche l’ aiuto di Dio.

IL PASTORE E LE SUE PECORE

Un pastore aveva condotto le sue pecore in un bosco di querce. Vedendo un albero grandissimo carico di ghiande, stese a terra il mantello e andò su, per scuoterne i frutti. Le pecore, mangiando le ghiande, senza accorgersene; gli mangiarono insieme anche il mantello. Quando il pastore fu sceso, avvedendosi del guaio, esclamo: “Brutte bestiacce! fate la lana per i vestiti degli altri, e a me che vi do da mangiare avete portato via anche il mantello”.

Così molti uomini, per ignoranza, beneficiano degli estranei con cui non hanno nulla a che fare e si comportano villanamente con i loro familiari.

IL RAGAZZO CHE FACEVA IL BAGNO

Una volta un ragazzo che faceva il bagno in un fiume stava per affogare. Vedendo uno che passava di là si mise a chiamarlo, che lo aiutasse. Quello cominciò a fargli rimproveri per la sua imprudenza. “Ma salvami, adesso” gli disse il fanciullo. “Poi, quando m’avrai salvato, farai la predica”.

Questa favola si applica a coloro che offrono spontaneamente lo spunto agli altri per offenderli.

IL PASTORE CHE INTRODUCEVA IL LUPO NELL'OVILE E IL CANE

Un pastore, dentro l’ovile spingendo il gregge, insieme un lupo per poco non ci chiuse. Ma il cane se n’avvide. “Bravo!”, gli disse, “staranno bene, codeste pecorelle, se dentro un lupo ci metti in compagnia!”.

La compagnia dei malvagi può procurare gravi danni  ed essere anche causa di morte.

LA PECORA TOSATA

Stavano tosando malamente una pecora. E quella disse a colui che la tosava: “Se vuoi della lana, taglia più in su; ma se desideri della carne, ammazzami una volta tanto e smettila di torturarmi a poco a poco”.

La favola è adatta per coloro che fanno malamente il loro mestiere.

PROMETEO E GLI UOMINI

Obbedendo a un ordine di Zeus, Prometeo plasmò gli uomini e le bestie. Ma quando Zeus si accorse che le bestie erano molto più numerose degli uomini, gli ordinò di disfare un po’ di bestie per ridurle a uomini. Prometeo eseguì l’ordine. Ecco perché tutti coloro che la forma umana non l’avevano ricevuta originariamente, hanno la forma da uomo, ma anima da bestia.

Ecco una favola buona per un uomo grossolano e bestiale.

LA ROSA E L’AMARANTO

Un amaranto cresciuto vicino a una rosa le disse: “Che splendido fiore sei tu. Ti desiderano gli dèi e gli uomini, ti invidio per la tua bellezza e per il tuo profumo”. “O amaranto”, gli rispose la rosa, “io non vivo che pochi giorni e anche se nessuno mi recide, appassisco; ma tu fiorisci e vivi sempre così, in perenne giovinezza”.

Meglio durare a lungo, contentandosi di poco, che, dopo sfarzo, mutar sorte o magari morire.

IL MELOGRANO, IL MELO, L’OLIVO E IL ROVO

Il melograno, il melo e l’olivo vantavano ciascuno la propria feracità. La discussione si faceva animata, quando il rovo, che li udiva dalla siepe vicina, saltò su a dire: “Olà, amici, finiamola una buona volta di litigare!”.

In tal modo, quando i migliori sono intenti a litigare, anche quelli che non valgono nulla cercano di darsi delle arie.

IL TROMBETTIERE 

Il trombettiere, preso dal nemico mentre chiamava a raccolta l’esercito, si mise a gridare: “O soldati, non ammazzatemi così alla leggera e senza alcun motivo. Io non ho mai ucciso nessuno di voi e, all’infuori di questa tromba non posseggo altra arma”. “Ragion di più per ammazzarti”, risposero quelli; “non sei capace di combattere tu, e inciti gli altri a farlo”.

La favola mostra che i più colpevoli sono coloro che incitano al male i principi cattivi e crudeli.

LA TALPA E SUA MADRE

Una talpa, animale cieco di natura, annunziò a sua madre che ci vedeva. Questa, per metterla alla prova, le diede un granello d’incenso e le domandò che cos’era. Essa dichiarò che era una pietruzza. “Creatura mia”, esclamò allora la madre, “tu non solo non ci vedi, ma hai perso persino l’odorato!”.
Così ci sono dei fanfaroni che promettono l’impossibile e poi fanno figuracce nelle cose più semplici.

IL CINGHIALE E LA VOLPE

Un cinghiale s’era messo vicino a un albero e vi aguzzava sopra le zanne. La volpe gli chiese perché mai, quando né cacciatori né altro pericolo gli sovrastava, egli aguzzava i denti. “Non lo faccio certo senza perché”, rispose il cinghiale. “Se mi capitasse addosso qualche guaio, allora non avrei più il tempo per affilarle; ma se saranno pronte, me ne servirò”.

La favola insegna che i preparativi si devono fare prima che si presenti il pericolo.

IL CINGHIALE, IL CAVALLO E IL CACCIATORE

Un cinghiale e un cavallo andavano a pascolare nello posto. Ma il cinghiale tutti i momenti calpestava l’erba e intorbidava l’acqua al cavallo, il quale, per vendicarsi, ricorse all’aiuto di un cacciatore. Questo gli rispose che non poteva far nulla per lui, se non si rassegnava a lasciarsi mettere il freno e a prenderlo in groppa; e il cavallo acconsentì a tutte le sue richieste. Allora il cacciatore gli salì in groppa, mise fuori combattimento il cinghiale e poi, condotto seco il cavallo, lo legò alla greppia.

Così molti, mossi da un cieco impulso di collera, per vendicarsi dei propri nemici, si precipitano sotto il giogo altrui.

LA SCROFA E LA CAGNA CHE SI INSULTAVANO A VICENDA

La scrofa e la cagna si insultavano a vicenda. La scrofa prese a giurare che lei per Afrodite! avrebbe sbranato la cagna. E la cagna, beffarda, le disse: “Sì, fai bene  a giurarmelo su Afrodite, perché tutti sanno che la dea ti vuole un gran bene. Quelli che hanno assaggiata la tua sporca carnaccia, non permette nemmeno che entrino nel suo tempio!”. “Ma questa”, disse l’altra, “è una prova lampante dell’affetto che la dea nutre per me, perché essa respinge chiunque mi uccida o mi faccia in qualche modo del male. Quanto a te, poi, tu puzzi da viva e puzzi da morta”.

La favola mostra come un abile oratore possa accortamente convertire in elogi gli insulti ricevuti dai nemici.

LE VESPE, LE PERNICI E IL CONTADINO

Vespe e pernici, afflitte dalla sete, andarono da un contadino a chiedergli da bere, promettendo che, in cambio l’acqua, gli avrebbero resi questi servizi: le pernici,  di zappargli la vigna, e le vespe, di tener lontani i ladri con i loro pungiglioni, facendovi la guardia tutto attorno.Il contadino rispose: “Ma io ho due buoi, che non promettono nulla e mi fanno tutto; dunque è meglio che dia da bere a loro che a voi”.

La favola va bene per certi uomini rovinosi che, promettendo di aiutarci, ci recano gravi danni.

LA VESPA E IL SERPENTE

Una vespa, posatasi sulla testa di un serpente, lo tormentava, pungendolo senza tregua col suo aculeo. Quello sconvolto dal dolore, non riuscendo a vendicarsi della sua nemica, cacciò la testa sotto la ruota di un carro sì morì lui insieme con la vespa.
La favola mostra che c’è della gente disposta a morire pur far morire i suoi nemici.

LA CICALA E LA VOLPE

Una cicala cantava sull'alto di una pianta. Una volpe, che aveva voglia di mangiarsela, escogitò una trovata di questo genere: si fermò là dirimpetto e cominciò a far meraviglie per la dolcezza del suo canto e a pregarla di scendere, dichiarando che desiderava vedere com’era grossa la bestia dotata di una voce così potente. La cicala, che sospettava il suo gioco, staccò una foglia e la gettò giù. La volpe le si precipitò addosso, come avrebbe fatto con la cicala. E quella: “Ti sei sbagliata, cara mia, se speravi che io scendessi. Io, dal giorno che ho veduto delle ali di cicala in un cacherello di volpe, delle volpi non mi fido”.

Le sventure del prossimo rendono accorti gli uomini di buon senso.

LA CICALA E LE FORMICHE

In una giornata d’inverno le formiche stavano facendo seccare il loro grano che s’era bagnato. Una cicala affamata venne a chiedere loro un po’ di cibo. E quelle le dissero: “Ma perché non hai fatto provvista anche tu, quest’estate?”. “Non avevo tempo”, rispose lei, “dovevo cantare le mie melodiose canzoni”. “E tu balla, adesso che è inverno, se d’estate hai cantato!”, le dissero ridendo le formiche.

La favola mostra che, in qualsiasi faccenda, chi vuol evitare dolori e rischi non deve essere negligente.

IL MURO E IL CHIODO

Un muro, trafitto brutalmente da un chiodo, gridava: “Perché mi trafiggi, se io non ti ho mai fatto nulla di male?”. E l’altro: “La colpa non è mia, ma di quello mi picchia dietro con tutta la sua forza”.

L’AVARO

Un avaro aveva liquidato tutto il suo patrimonio e l’aveva convertito in una verga d’oro; poi l’aveva sotterrato in un certo luogo, sotterrandoci insieme la sua vita e il suo cuore, e tutti i giorni andava a farci un’ ispezione. Un operaio lo tenne d’occhio, subodorando la verità, andò a scavare e si portò via la verga. Dopo un po’ arrivò anche l’avaro e, trovando la sua buca vuota, cominciò a piangere e a strapparsi i capelli. Ma un tale, che l’aveva visto lamentarsi così dolorosamente, quando ne seppe la ragione, gli disse: “Non disperarti così, mio caro; tanto, oro non ne avevi nemmeno quando lo possedevi. Prendi una pietra, mettila al suo posto, e immagina d’avere il tuo oro: ti farà lo stesso servizio; perché vedo bene che, anche quando il tuo oro era là, tu non ne facevi nulla”.

La favola mostra che nulla vale possedere una cosa senza goderla.

IL FABBRO E IL SUO CANE

Un fabbro aveva un cane che continuava a dormire mentre lui lavorava; appena però si metteva a tavola, se lo trovava al fianco. “Brutto poltrone”, gli disse, gettandogli un osso, “dormi quando io batto l’incudine; ma basta che muova le mascelle, e ti svegli subito!”.

La favola svergogna i dormiglioni, i pigri e tutti quelli che vivono delle altrui fatiche.

LA RONDINE FANFARONA E LA CORNACCHIA

La rondine diceva alla cornacchia: “Io sono una fanciulla, e sono d’Atene, e sono di sangue reale, e sono figlia del re d’Atene”, e continuava, con la storia di Tereo, e della violenza subita, e del taglio della lingua. “T’han tagliata la lingua”, disse la cornacchia, “e hai tanta parlantina! Che cosa mai succederebbe se ce l’avessi?”.

I fanfaroni, a forza di parlare a vanvera, con i loro discorsi si smentiscono da soli.

LA TARTARUGA E L’AQUILA

Una tartaruga pregava un’aquila perché le insegnasse a volare, e quanto più questa le dimostrava che era cosa aliena dalla sua natura, tanto più l’altra insisteva nelle sue preghiere. Allora l’aquila l’afferrò tra gli artigli, la sollevò in alto, e poi la lasciò cadere. La tartaruga casco su una roccia e si fracassò.

La favola mostra come, a dispetto dei consigli dei saggi, molti si rovinino per voler scimmiottare il prossimo.

LA TARTARUGA E LA LEPRE

Una tartaruga e una lepre continuavano a far discussioni sulla loro velocità. Finalmente, fissarono un giorno e un punto di partenza e presero il via. La lepre, data la sua naturale velocità, non si preoccupò della cosa: si buttò giù sul ciglio della strada e si addormentò. La tartaruga, invece, consapevole della sua lentezza, non cessò di correre, e così, passando avanti alla lepre che dormiva, raggiunse il premio della vittoria.

La favola mostra che spesso con l’applicazione si ottiene più che con i doni naturali non coltivati.

L’USIGNOLO E LO SPARVIERO

Posato su un’alta quercia, un usignolo, secondo il suo solito, cantava. Lo scorse uno sparviero a corto di cibo, gli piombò addosso e se lo portò via. Mentre stava per ucciderlo, l’usignolo lo pregava di lasciarlo andare, dicendo che esso non bastava a riempire lo stomaco di uno sparviero: doveva rivolgersi a qualche uccello più grosso, se aveva bisogno di mangiare. Ma l’altro lo interruppe, dicendo: "Bello sciocco sarei, se lasciassi andare il pasto che ho qui pronto tra le mani, per correr dietro a quello che non si vede ancora! ".

Così, anche tra gli uomini, stolti sono coloro che, nella speranza di beni maggiori, si lasciano sfuggire quello che hanno in mano.

L’USIGNUOLO E LA RONDINE

La rondine consigliava all'usignolo a nidificare, come lei, sotto il tetto degli uomini e a condividere la loro dimora. Ma quello rispose: "Non desidero ravvivare la memoria delle mie antiche sventure; per questo vivo nei luoghi solitari.

Chi è stato colpito da una sventura cerca di sfuggire persino il luogo dove questa gli accadde.

IL DEBITORE ATENIESE

Ad Atene, un debitore, a cui era stato ingiunto dal creditore di pagare il suo debito, sulle prime lo pregò di concedergli una dilazione, dichiarando che si trovava in cattive acque. Non riuscì però a convincerlo; e allora gli portò una scrofa, l’unica che possedeva, e, in sua presenza, la mise in vendita. Gli si avvicinò un compra­tore, chiedendo se quella era una scrofa che figliava, e lui l’assicurò che non solo figliava, ma presentava anche una particolarità straordinaria: alla stagione dei Misteri figliava femmine, e per le Panatenee, maschi. A questo discorso, l’ascoltatore rimase a bocca aperta. Ma il creditore soggiunse: " E perché ti meravigli? Questa è una scrofa che, per le Dionisiache, ti figlia anche dei Capretti"

Questa favola ci mostra come molti, per il proprio interesse, giurino senza esitare le più inverosimili falsità.

IL MORO

Un tale comperò uno schiavo moro, pensando che il suo colore fosse dovuto all'incuria del precedente proprietario. Condottolo a casa, provò su di lui tutti i detersivi e tentò di sbiancarlo con lavacri di ogni sorta. Ma non riuscì a cambiargli il colore; anzi, con tutti i suoi sforzi lo fece ammalare.

Questa favola ci mostra come le qualità naturali si conservino quali si sono manifestate originariamente.

IL PESCATORE CHE BATTEVA L’ACQUA

Un pescatore pescava in un fiume. Dopo aver teso le reti e sbarrato la corrente dall’una all’altra riva, batteva l’acqua con una pietra legata a una funicella, perché i pesci, fuggendo all’impazzata, andassero ad impigliarsi tra le maglie. Vedendolo intento a quest’operazione, uno degli abitanti del luogo si mise a rimproverarlo perché insudiciava il fiume e rendeva loro impossibile di bere un po’ d’acqua limpida. E quello rispose: "Ma se non intorbido così l’acqua, a me non resta che morir di fame".

Così anche negli Stati, per i demagoghi gli affari vanno bene specialmente quando essi sono riusciti a seminare il disordine nel loro paese.

L’ALCIONE 

L’alcione è un uccello amante della solitudine, che vive sempre sul mare e fa, dicono, il suo nido sugli scogli vicini alla costa, per sfuggire alla caccia degli uomini. Un giorno un alcione che stava per deporre le uova, posandosi  su di un promontorio, scorse una roccia a picco sul mare, e andò a farci il nido. Ma una volta, mentre esso era fuori in cerca di cibo, accadde che il mare, gonfiato dal  soffio impetuoso del vento, si sollevò fino all’altezza del nido e lo inondò, affogando i piccoli. Quando, al suo ritorno l’alcione vide quel che era accaduto: "Me misero", esclamò, "per guardarmi dalle insidie della terra mi rifugiai sul mare; e il mare mi si è dimostrato ben più infido di quella.

Questo capita anche a certi uomini, che, mentre si guardano  dai loro nemici, senza avvedersene, vanno a cascare in  mezzo ad amici che sono ben peggiori di quelli.

LE VOLPI SUL MEANDRO

Un giorno un branco di volpi si radunò sulle rive del fiume Meandro per abbeverarsi. Ma, per quanto si esortassero a vicenda, non osavano scendere, intimorite dallo scroscio della corrente. Allora una di esse venne fuori a svergognare le compagne e, irridendo alla loro pusillanimità, come colei che si credeva più brava delle altre, balzò arditamente nell’acqua. La corrente la tra­sportò nel mezzo. Le compagne, stando sulla riva, le gridavano: Non abbandonarci; torna indietro a farci vedere da che parte si passa per bere senza pericolo! E quella, mentre la corrente la trascinava via: "Devo portare una risposta a Mileto , diceva,  e non voglio mancare. Quando torno indietro ve lo farò vedere"

Questa va a chi si caccia da solo nei guai, per far lo spavaldo.

LA VOLPE CON LA PANCIA PIENA

Una volpe affamata, vedendo, nel cavo di una quercia, del pane e della carne lasciativi da qualche pastore, vi entrò dentro e li mangiò. Ma quando ebbe la pancia piena, non riuscì più a venir fuori, e prese a sospirare e a gemere. Un’altra volpe che passava a caso di là, udì i suoi lamenti e le si avvicinò, chiedendogliene il motivo. Quando seppe l’accaduto: “E tu resta lì", le disse, “finché non sarai ritornata com’eri quando c’entrasti: così ne uscirai facilmente .
Questa favola mostra che il tempo risolve le difficoltà.

LA VOLPE E IL ROVO

Una volpe, nel saltare una siepe, scivolò e, stando per cadere, s’aggrappò, come sostegno, a un rovo. “Ahimè!”, gli disse tutta indolorita, quand’ebbe le zampe insanguinate dalle sue spine, io mi rivolgevo a te per avere un aiuto, e tu mi hai conciato ben peggio”. “L’errore è tuo, mia cara”, le rispose il rovo, “hai voluto aggrapparti proprio a me che, d’abitudine, sono quello che si aggrappa a tutto”.

Questa favola mostra come siano stolti, anche fra gli uomini, coloro che ricorrono per aiuto a chi, d’istinto, è piuttosto portato a far del male.

LA VOLPE E L’UVA

Una volpe affamata vide dei grappoli d’uva che pendevano da un pergolato e tentò d’afferrarli. Ma non ci riuscì. “Robaccia acerba!”, disse allora fra sé e sé; e se ne andò.
Così, anche fra gli uomini, c’è chi, non riuscendo, per incapacità, a raggiungere il suo intento, ne dà la colpa alle circostanze.

LA VOLPE E IL SERPENTE 

Una volpe, vedendo un serpente coricato, fu presa d’invidia per la sua lunghezza, e le venne voglia di uguagliarlo: si stese giù vicino a lui e cercò di tendersi, fino a che, per gli eccessivi sforzi, la malaccorta crepò.

Questo capita a coloro che si mettono a gareggiare coi più forti: prima di poterli raggiungere, vanno in malora.

LA VOLPE CHE NON AVEVA MAI VEDUTO UN LEONE

Una volpe che non aveva mai veduto un leone, la prima volta che per caso se lo trovò davanti, provò un tale spavento alla sua vista che quasi ne morì. Avendolo però incontrato una seconda volta, si spaventò sì, ma non proprio come la prima. Quando poi lo vide per la terza volta, trovò tanto coraggio da avvicinargli si e da attaccare persino discorso.

La favola mostra che l’abitudine rende tollerabili anche le cose spaventose.

LA VOLPE E LA MASCHERA

Una volpe penetrò nella casa di un attore e, frugando in mezzo a tutti i suoi costumi, trovò anche una maschera da teatro artisticamente modellata. La sollevò tra le zampe ed esclamò:  “ Una testa magnifica! ma cervello, niente “.

Ecco una favola per certi uomini belli di corpo ma poveri di spirito.

IL MARITO E LA MOGLIE BISBETICA

Un tale aveva una moglie bisbetica all'eccesso con tutti quelli di casa. Gli venne voglia di sapere se essa si comportava così anche nella famiglia del proprio padre, e trovò un pretesto plausibile per mandarla da lui. Al suo ritorno, dopo pochi giorni, le chiese come l’avevano ac­colta quelli di casa sua. “C’erano i bovari e i pecorai”, rispose lei, “che non mi potevano vedere”. E il marito, allora: “O moglie mia, se sei riuscita a farti odiare da quelli che escono all’alba per portar fuori il bestiame e non rientrano che la sera, che cosa mai ci si può aspettare da quelli con cui passavi l’intera giornata?”.

Così spesso dalle cose piccole si argomentano le grandi, dalle cose manifeste si arguiscono quelle celate.

L’IMBROGLIONE 

Un imbroglione s’era impegnato con un tale a dimostrare che l’oracolo di Delfi mentiva. Nel giorno stabilito, prese in mano un passerotto e, copertolo col mantello, andò al tempio, si fermò in faccia all’oracolo, e gli chiese se quel che teneva tra le mani respirava o no. Se gli fosse stato risposto di no, egli intendeva mostrare il passero vivo: se invece gli fosse stato detto che respirava, l’avrebbe strozzato prima di tirarlo fuori. Ma il dio, comprendendo il suo malizioso proposito, rispose: “Smettila, uomo, perché sta in te far sì che ciò che hai in mano vivo oppure morto”.

La favola insegna che la divinità non può esser colta in fallo.

IL CIECO

Un uomo cieco si era abituato a distinguere al tatto qualsiasi animale gli mettessero tra le mani. Una volta diedero un lupacchiotto. Egli lo palpò, rimase incerto, e poi disse: “Io non so se sia figlio di lupo, o di volpe, o di altro animale del genere; quel che so bene, è che non è bestia da mandare insieme con un gregge di pecore”.

Con l’animo dei malvagi spesso traspare persino dal loro aspetto fisico.

LE RANE CHE CHIESERO UN RE

Le ranocchie, stanche di vivere senza alcuno che le governasse, mandarono ambasciatori a Zeus, pregandolo di elargire loro un re. E Zeus, vedendo la semplicità dell’animo loro, buttò giù nello stagno un pezzo di legno. A tutta prima, atterrite dal tonfo, le ranocchie si tuffarono nel fondo; ma poi, dato che il legno rimaneva immobile, risalirono a galla, e giunsero a tal punto di disprezzo per il loro re che gli saltarono addosso e vi si accomodarono sopra. Infine, vergognandosi d’avere un sovrano di tal fatta, andarono nuovamente da Zeus, e lo pregarono di mandarne loro un altro in cambio, perché il primo era troppo indolente. Allora Zeus perdette la pazienza, e mandò una biscia d’acqua, che cominciò ad afferrarle e a divorarsele.

La favola mostra che è meglio avere governanti infingardi ma non cattivi, piuttosto che turbolenti e malvagi.

IL SOLE E LE RANE

Si celebravano, in piena estate, le nozze del Sole. Tutti gli animali ne erano lieti, e anche le ranocchie si davano alla pazza gioia. Ma una di esse saltò su “Perché tutta questa allegria, o sciocche? Se, una volta sposato, il Sole metterà al mondo un figlio come lui, che cosa mai non ci toccherà patire, dato che ora, da solo, riesce già a farci seccare tutti i pantani?”

Ci sono molti uomini con poco sale in zucca che festeggiano avvenimenti per cui non ci sarebbe proprio ragione di rallegrarsi.

LA MULA

Una bella mula rimpinzata di biada si mise a scalpitare, dichiarando ad alta voce a se stessa: “Cavallo dal  rapido piede fu mio padre; ed io son tutta lui”. Ma un giorno si presentò la necessità di correre e la mula doveva farlo davvero. Quando ebbe finita la corsa, si sentì triste, e le venne in mente, all’improvviso, che suo padre era un asino.

La favola mostra che, anche quando le circostanze rendono un uomo famoso, egli non deve mai dimenticare le proprie origini, perché questa vita è piena di incertezze.

IL MEDICO E L’AMMALATO 

Un medico aveva in cura un ammalato, che gli morì. “Ecco”, diceva a quelli che ne seguivano il funerale, “se quest’uomo si fosse astenuto dal vino e avesse fatto dei clisteri, non sarebbe morto”. Ma uno dei presenti lo interruppe: “Mio caro, queste cose avresti dovuto dirle quando egli poteva approfittare dei tuoi consigli; non ora che non servono più a nulla”.  

La favola mostra che gli amici devono prestare il loro aiuto nel momento del bisogno, e non sputar sentenze quando ogni speranza è perduta.

IL NIBBIO E IL SERPENTE             

Un nibbio afferrò un serpente e si levò a volo. Ma il sente si rivoltò, lo morse, ed entrambi caddero dall’alto. Mentre il nibbio moriva, il serpente gli disse: “Perché sei stato così folle da voler far del male a me, che non ti facevo nulla? Ecco che hai avuto il giusto castigo per avermi rapito”.

Chi fa il prepotente e oltraggia i deboli, se s’abbatte in uno più forte di lui, quando meno se l’aspetta, paga anche il male che ha fatto prima.

IL NIBBIO CHE NITRIVA    

Il nibbio aveva un tempo una voce acuta, diversa da quella d’ora. Poi, avendo udito un cavallo che emetteva dei magnifici nitriti, volle imitarlo; e, ostinandosi in que­sto esercizio, a rifar bene il nitrito, non ci riuscì, ma  perse la propria voce; così non ebbe né quella del cavallo né quella che  aveva avuto prima.

Gli uomini mediocri che, mossi dall'invidia, cercano di imitare quello che è alieno dalla loro natura, perdono anche le loro doti naturali.

IL CAMMELLO E ZEUS         

Vedendo un toro tutto imbaldanzito per le sue corna, al cammello invidioso venne voglia d’averle anche lui. Presentatosi dunque a Zeus, cominciò a supplicarlo che gli assegnasse un paio di corna. Ma Zeus si sdegnò con lui perché, non contento della sua forza e della sua sta­tura, voleva ancora qualche cosa d’altro. Così, non solo non gli aggiunse le corna, ma gli mozzò anche la punta delle orecchie.

Questo capita a molti, che, avidi, guardano con invidia gli altri e intanto, senza avvedersene, perdono anche quello che hanno.

IL CAMMELLO BALLERINO

Un cammello, costretto dal suo padrone a ballare esclamò: “Ma se sono goffo persino quando cammino, altro che quando ballo!”.
La favola si può citare a proposito di qualsiasi atto di garbo.

IL CAMMELLO VISTO PER LA PRIMA VOLTA        

Quando gli uomini videro per la prima volta il cammello, si spaventarono e, atterriti dalle sue dimensioni, si diedero alla fuga. Ma quando, col passar del tempo, si resero conto della sua mansuetudine, trovarono il coraggio di avvicinarglisi; poi, poco per volta, accorgendosi che esso è un animale incapace di collera, giunsero a tal punto di disprezzo che gli misero persino una  cavezza al collo e lo diedero da condurre a dei ragazzi.

La favola mostra che l’abitudine rende tollerabili anche le cose spaventose.

I DUE SCARABEI     

In un’isoletta pascolava un toro, e del suo sterco vivevano due scarabei. Al sopraggiungere della cattiva stagione, uno di essi annunciò all’altro che intendeva volare sul continente; così lì ci sarebbe stato abbastanza da mangiare per il compagno rimasto solo, mentre egli, trasferitosi laggiù, ci avrebbe passato l’inverno. Aggiungeva poi che, se avesse trovato cibo in abbondanza, ne avrebbe portato anche a lui. Passò dunque sul continente e, trovatoci sterco a iosa, ma molto molle, vi si stabilì e cominciò a mangiarselo. Passato l’inverno, rivolò di nuovo alla sua isola. Quando l’altro lo vide così bello grasso e florido, lo rimproverò perché, dopo tante promesse, non gli aveva portato nulla. “Non devi prendertela con me” , gli rispose il compagno, “ma con quel paese, che è fatto così: da mangiare ce n’è; ma non si può portar via niente”.

IL GRANCHIO E LA VOLPE             

Un granchio, uscito fuori dal mare, se ne viveva solo soletto su una spiaggia. Lo scorse una volpe affamata e, visto che non aveva proprio nulla da mangiare, gli saltò  addosso e lo afferrò. “Questa me la sono proprio meritata”, esclamò il granchio, mentre l’altra stava per ingoiarlo. Ero animale di mare e ho voluto diventare animale di terra!”.

Così, anche tra gli uomini, chi lascia le proprie faccende per immischiarsi di quel che non lo riguarda, è naturale che vada a finire in mezzo ai guai.

IL GRANCHIO E SUA MADRE          

La madre del granchio lo ammoniva a non camminare di traverso e a non sfregare il fianco contro la roccia umida. E quello: “Mamma, se vuoi che impari, cammina dritta tu, e io, vedendoti, farò come te”.

Chi vuol rimproverare gli altri, deve anzitutto viver bene lui e rigar dritto, e poi insegnare a far altrettanto.

IL NOCE

Un noce cresciuto al margine di una strada e bersagliato dalle sassate dei passanti, disse tra sé sospirando:  “Ma sono proprio un disgraziato, io! Continuo tutti gli anni a procurarmi insulti e dolori!”

Questa favola allude a certe persone le quali, dai propri beni, non ricavano che dolori.

IL CASTORO           

Il castoro è un quadrupede che vive negli stagni, e i suoi genitali pare che servano per la cura di certe malattie. Quando qualcuno lo scopre e lo insegue per tagliarglieli, esso, che sa a qual fine gli danno la caccia,sino a un certo punto, per conservarsi intatto, fugge, fidando nella velocità dei piedi; ma quando poi si vede a portata dei suoi inseguitori, si strappa da solo i genitali e li getta via; così riesce a salvare la vita.

Anche tra gli uomini, danno prova di saggezza coloro che  vedendosi minacciati a causa del loro denaro, lo lasciano perdere, per non mettere a repentaglio la loro vita.

L’ORTOLANO CHE INNAFFIAVA GLI ORTAGGI               

Un tale si fermò davanti a un ortolano che innaffiava le sue verdure e gli domandò perché mai le piante selvatiche sono fonde e robuste, mentre quelle coltivate sono gracili e stente. E l’ortolano gli rispose: “Perché di quelle la terra è veramente la madre, ma di queste è soltanto la matrigna.”

Anche tra i ragazzi, chi è allevato dalla matrigna non mangia come quello che ha la propria madre.

L’ORTOLANO E IL CANE

Il cane di un ortolano cascò in un pozzo, e l’ortolano, per tirarlo fuori, scese giù anche lui. Ma il cane, pensando che egli venisse per cacciarlo più a fondo, si rivoltò al padrone e lo morse. Allora quello, dolorante, se ne tornò su dicendo: “Ben mi sta: perché affannarmi tanto per salvare un suicida?”.
Ecco una favola per gli uomini ingiusti ed ingrati.

IL CITAREDO                       

Un suonator di cetra da strapazzo cantava tutto il giorno tra le ben cementate pareti di una stanza, e poiché queste riecheggiavano i suoni, si immaginò d’avere una bella voce potente.  Montatosi così la testa, decise che era il caso di affrontare anche il teatro. Ma, giunto sul palcoscenico, cantò veramente da cane e fu cacciato via a sassate.

Così ci sono degli oratori che, fin che si esercitano nelle scuole fanno bella figura, ma, quando affrontano la vita pubblica, si scopre che non valgono nulla.

IL TORDO     

Un tondo andava a cibarsi in una macchia di mirti, e tanto erano dolci quelle bacche che non sapeva staccarsene. Un uccellatore osservò che il luogo gli piaceva, vi mise le panie e ce lo prese. “Me infelice!”, esclamò il tordo prima di morire, “Ecco che per il gusto della gola ci rimetto la vita”.

Questa è una favola che si adatta a uno di quegli uomini sregolati che si rovinano per amor dei piaceri.

I LADRI E IL GALLO                       

I ladri penetrarono in una casa, ma non ci trovarono altro che un gallo. Lo presero e se ne andarono. Quando fu lì per essere ammazzato, il gallo cominciò a pregare che lo risparmiassero, dicendo che egli era utile agli uomini, perché li svegliava a buio, così che potessero attendere alle loro faccende. “Ma questa è una ragione di più per tiranti il collo”, gli risposero gli altri, “Svegliando loro, tu impedisci a noi di rubare”.

La favola mostra che quel che dà più fastidio ai bricconi sono proprio i servizi resi alle persone dabbene.

IL VENTRE E I PIEDI                      

Il ventre e i piedi disputavano chi di loro fosse il più forte, e i piedi continuavano a dire che, in fatto di forza, erano tanto superiori, che il ventre stesso si faceva portare  a spasso da loro. “Cari miei, se non ci fossi io a darvi da mangiare, neanche voi sareste in grado di portarmi”, rispose il ventre.

Così, anche in un esercito, il numero non conta nulla, se non ci sono dei capi col cervello a posto.

IL GRACCHIO E LA VOLPE             

Un gracchio affamato s’era posato su un fico e, trovati dei piccoli fichi ancor acerbi, aspettava che diventassero grossi e maturi. La volpe che lo vedeva continuamente si  fermò, quando ne seppe il motivo, gli disse:  “Caro mio, se ti attacchi alla speranza, sbagli di grosso.

La speranza è un pastore che ti porta a spasso, ma la pancia non te la riempie.

IL GRACCHIO E I CORVI    

Un gracchio che era più grosso di tutti gli altri, disprezzando i compagni della sua razza, se ne andò in mezzo ai corvi, e pretendeva di vivere con essi. Ma quelli, che non conoscevano né la sua faccia né la sua voce, lo picchiarono e lo cacciarono via. Respinto dai corvi, esso tornò allora di nuovo ai suoi gracchi. Questi, a loro volta, indignati per l’affronto, non lo vollero ricevere. Ecco come avvenne che esso fu escluso dalla società degli uni e degli altri.

Questo succede anche agli uomini che abbandonano la loro patria e preferiscono i paesi altrui: in questi sono malvisti perché sono stranieri, e si rendono odiosi ai loro concittadini perché li hanno disprezzati.

LA CORNACCHIA E IL CORVO        

La cornacchia, gelosa del corvo, il quale dà auspici agli uomini, prevede il futuro ed è perciò da essi invocato come testimonio, si mise in testa di fare altrettanto. Vedendo passare dei viandanti, volò su un albero e piantatasi là, cominciò a gracchiare a tutta forza. Al suono della sua voce, quelli si volsero spaventati, ma uno disse subito: “Niente, niente, amici, andiamo pure avanti. E’ soltanto una cornacchia, e le sue grida non significano nulla”.

Così anche tra gli uomini, chi si mette a gareggiare coi più potenti di lui non solo non riesce ad uguagliarli, ma si guadagna anche le beffe.

LA CORNACCHIA E IL CANE           

Una cornacchia che offriva ad Atena una vittima, invitò un cane al banchetto sacrificale. “Perché sprechi i tuoi quattrini in sacrifici?”, le chiese il cane. “Tanto,la dea ti ha così in uggia che impedisce alla gente di credere ai tuoi presagi”. E la cornacchia: “Ma io le offro i sacrifici proprio per questo. Cerco di conciliarmela, dato che mi vede di mal occhio”.

Così  ci sono molti che, per paura, non esitano a beneficare quelli che li odiano.

LE CHIOCCIOLE      

Un contadinello faceva arrostire delle chiocciole e, sentendole crepitare, diceva: “Brutte bestie, mentre le vostre case bruciano, voi vi mettete a cantare”.

La favola mostra che tutto quel che si fa fuori tempo è biasimevole.

IL CIGNO PRESO PER UN OCA
  
Un signore allevava insieme un’oca e un cigno, non allo stesso scopo, naturalmente, ma l’uno per il canto e l’altra per la mensa. Quando giunse il momento in cui l’oca doveva far la fine per cui era stata allevata, era notte, e il buio non permise di distinguere l’uno dall’altra. Così fu preso il cigno invece dell’oca. Ma ecco che esso intona un canto, preludio di morte; col canto rivela la sua natura e, grazie alla sua voce, sfugge al supplizio.

La favola mostra come spesso la musica riesca a differire la morte.

IL CIGNO E IL SUO PADRONE       

Dicono che i cigni si mettano a cantare al momento della morte. A un tale capitò di veder messo in vendita un cigno e, sentendo che era un uccello dal canto dolcissimo, lo acquistò. Un giorno che aveva ospiti a tavola andò ad invitarlo perché cantasse alla fine del banchetto, ma in quell’occasione il cigno rimase zitto. Giunse però Il giorno in cui sentì vicina la morte, e allora intonò il suo canto di dolore. Il padrone, sentendolo, disse: “Ma se tu non canti altro che quando stai per morire, lo stupido ero io, che stavo lì a rivolgerti delle preghiere, in­vece di ammazzarti”.

Così anche tra gli uomini ci sono quelli che, ciò che non vogliono fare per piacere, lo fanno poi per forza.

I DUE CANI  

Un tale che aveva due cani ne addestrò uno alla caccia e allevò l’altro per guardia della casa. Quando poi il primo, andando a caccia, prendeva della selvaggina, ne gettava una parte anche all’altro. Allora il can da caccia, sdegnato, cominciò ad insultare il compagno, perché lui andava fuori, sobbarcandosi a continue fatiche, mentre l’altro godeva il frutto del suo lavoro, senza far nulla. Il cane domestico gli rispose: “Non con me devi prendertela, ma col nostro padrone, che mi ha insegnato, non a lavorare, bensì a sfruttare il lavoro altrui”.

Così non si possono biasimare i fanciulli pigri, quando li rende tali l’educazione dei loro genitori.

LE CAGNE AFFAMATE          

Certe cagne affamate che avevano visto delle pelli messe a bagno nell'acqua d’un fiume, non riuscendo ad afferrarle, stabilirono tra di loro di ber prima tutta l’acqua, per poter poi arrivare ad esse. Ma andò a finire che creparono a forza di bere, prima di giungere a toccare le pelli.

Così ci sono uomini che, nella speranza di un guadagno, si sobbarcano a pericolose fatiche e, prima di raggiungere il loro scopo, si rovinano.

IL CANE E LA CONCHIGLIA           

Un cane, abituato a ingollarsi delle uova, vide una conchiglia; convinto che fosse un uovo, spalancò la bocca e con un violento sforzo riuscì a mandarla giù. Quando poi sentì il peso e i dolori di stomaco: “Ben mi sta”, disse “perché m’ero messo in testa che tutte le cose fossero uova”.

Questa favola ci insegna che chi affronta un’impresa senza riflettere può impensatamente trovarsi impigliato fra strani fastidi.

IL CANE E LA LEPRE           

Un cane da caccia che aveva catturato una lepre, un momento la mordeva e un momento le leccava il muso. “Ehi, tu”, gli disse, sfinita, la lepre, “o smettila di mordermi o smettila di baciarmi, ch’io possa capire se sei per me un amico o un nemico”.
Questa è una favola adatta per un uomo ambiguo.

IL CANE E IL MACELLAIO  

Un cane balzò dentro una macelleria e, mentre il macellaio era occupato, afferrò un cuore e se la diede a gambe. Il macellaio si volse e, vedendolo fuggire, esclamò:  “Ehi, galantuomo! Sta’ pur certo che ti terrò d’occhio dovunque tu sia; il cuore non l’hai mica portato via a me, sai; anzi a me ne hai aggiunto dell’altro’.

La favola insegna che le sventure servono di ammaestramento agli uomini.

IL LEONE E IL TOPO RICONOSCENTE       

Un topolino correva sul corpo di un leone addormentato, il quale si svegliò e, acchiappatolo, fece per ingoiarlo. La bestiola cominciò a supplicare di risparmiarlo e a dire che, se ne usciva salvo, gli avrebbe dimostrata la sua riconoscenza. Il leone scoppiò a ridere e lo la­sciò andare. Ma dopo non molto gli capitò un caso in cui dovette davvero la sua salvezza alla riconoscenza del topolino. Alcuni cacciatori riuscirono a catturarlo e lo legarono con una corda a un albero. Il topo allora udì i suoi lamenti, accorse, rosicchiò la corda e lo liberò, soggiungendo: "Tu, quella volta, t’eri fatto beffe di me, perché non immaginavi mai di poter avere una ricom­pensa da parte mia. Sappi ora che anche i topi sono capaci di gratitudine”.

La favola mostra come, col mutar delle circostanze, anche i potenti possono aver bisogno dei deboli.

IL LEONE E L’ONAGRO        

Il leone e l’onagro andavano a caccia di bestie selvatiche, il leone mettendo a profitto la sua forza, e l’onagro la velocità delle sue gambe. Quando ebbero catturato una certa quantità di selvaggina, il leone fece le parti; divise tutto in tre mucchi, e dichiarò: “La prima spetta al primo, cioè a me che sono il re. La seconda mi spetta come socio a pari condizioni. Quanto a questa terza, ti porterà ben disgrazia, se non ti decidi a squagliarti”.

Conviene commisurare ogni nostra azione alle nostre forze, e coi più potenti di noi non immischiarsi né associarsi.

IL LEONE E L'ASINO CHE ANDAVANO A CACCIA INSIEME        

Fatta società, il leone e l’asino uscirono insieme a caccia. Giunti dinanzi ad una caverna dove c’erano delle capre selvatiche, il leone si fermò davanti all’entrata per prenderle a mano a mano che uscivano, mentre l’asino entrava e, balzando in mezzo ad esse, ragliava per spaventarle. Quando il leone le ebbe prese quasi tutte, l’asino venne fuori e gli chiese se non si era mostrato un valoroso guerriero nella cacciata delle capre. “Ma sai”, gli rispose il leone, “che persino io avrei avuto paura di te, se non avessi saputo che eri un asino?”.

Così, chi fa il fanfarone davanti a quelli che lo conoscono bene, si guadagna giustamente le beffe.

IL LEONE, L’ASINO E LA VOLPE                

Il leone, l’asino, e la volpe fecero società fra loro e se ne andarono a caccia. Quand’ebbero fatto un buon bottino, il leone invitò l’asino a dividerlo tra di loro. L’asino fece tre parti uguali e invitò il leone a scegliere. La belva inferocita gli balzò addosso, lo divorò e poi ordinò alla volpe di far lei le parti. Essa radunò tutto in un mucchio, lasciando fuori per sé solo qualche piccolezza, e poi lo invitò a scegliere. Il leone allora le chiese chi le aveva insegnato a fare le parti così. “E’ stata la disgrazia dell’asino”, rispose la volpe.

La favola mostra che le disgrazie del prossimo sono per gli uomini fonte di saggezza.

IL LEONE INFURIATO E IL CERVO 

Un leone era infuriato. “Poveretti noi!”, disse un cervo, scorgendolo di tra le piante del bosco, “che cosa mai non farà, ora che è su tutte le furie, costui, che noi non riuscivamo a sopportare nemmeno quand’era in buona?”.
Teniamoci tutti lontani dagli uomini violenti e usi al male, quando essi si impadroniscono del potere e signoreggiano sugli altri.

IL LEONE CHE EBBE PAURA D’UN TOPO E LA VOLPE 

Mentre il leone dormiva, un topo gli fece una corsa su per il corpo. Quello si destò e si girava da tutte le parti per cercare quel che gli era venuto addosso. La volpe, a quella vista, prese a canzonarlo perché lui, che era un leone, aveva paura di un topolino. “Non è che io abbia paura di un topo”, rispose lui, “ma mi meraviglio che qualcuno abbia osato correre addosso al leone mentre dormiva “.
La favola mostra che gli uomini assennati non trascurano nemmeno le piccole cose.

I LUPI E LE PECORE           

I lupi, che facevano la posta a un gregge di pecore, non riuscivano ad impadronirsene a causa dei cani che lo sorvegliavano, e allora decisero di ricorrere all'astuzia per raggiungere il loro scopo. Mandarono ambasciatori alle pecore, e chiesero la consegna dei cani, affermando che erano essi i responsabili delle loro relazioni ostili. Una volta che li avessero in mano, la pace avrebbe regnato tra di loro. Le pecore, senza sospettare quel che le aspettava, consegnarono i cani; e i lupi, una volta padroni di questi, sterminarono senza difficoltà il gregge rimasto indifeso.

Così anche quegli Stati che consegnano senza difficoltà i loro capi, senza avvedersene sono tosto soggiogati dai nemici.

IL LUPO E L’AGNELLO

Un lupo vide un agnello presso un torrente che beveva e gli venne voglia di mangiarselo con qualche bel pretesto. Standosene là a monte, cominciò quindi ad accusarlo di insudiciare l’acqua, così che egli non poteva bere. L'agnello gli fece notare che, per bere, esso sfiorava appena l’acqua col muso e che, d’altra parte, stando a valle  non gli era possibile intorbidare la corrente a monte. Venutogli meno quel pretesto, il lupo allora gli disse:  "Ma tu sei quello che l’anno scorso ha insultato mio padre." E l’agnello a spiegargli che a quella data non era ancor venuto al mondo. "Bene" concluse il lupo, "se tu sei così bravo a trovar delle scuse, io non posso mica rinunziare a mangiarti.

La favola mostra che contro chi ha deciso di far un torto non c’è giusta difesa che valga.

IL LUPO E L'AGNELLINO RIFUGIATO NEL TEMPIO        

Un lupo inseguiva un agnellino, e questo andò a rifugiarsi in un tempio. Il lupo cominciò a chiamarlo e ad avvertirlo che, se il sacerdote lo coglieva là, lo avrebbe immolato al dio. “Meglio immolato a un dio”, rispose l’agnello, “che sbranato da te!”.

La favola mostra che, se si deve morire, è meglio morire con onore.

LA MOSCA.   

Una mosca, caduta in una pentola di carne, mentre stava per affogare nel brodo, diceva tra sé: “Ebbene, io ho mangiato, ho bevuto, ho fatto il bagno; e se muoio, pazienza!”.

La favola mostra che gli uomini si rassegnano facilmente alla morte, quando essa sopraggiunge senza sofferenze.

LE MOSCHE.             

In una dispensa s’era versato del miele. Le mosche, accorse, se lo succhiavano, e la dolcezza era tale che non sapevano staccarsene. Quando però le loro zampe vi rimasero impigliate e, incapaci di levarsi a volo, esse si sentirono affogare, esclamarono: “Poverette noi! Per un attimo di dolcezza ci rimettiamo la vita”.

Così la ghiottoneria è causa di numerosi guai per molte persone.

LA FORMICA                        

Un tempo, quella che oggi è la formica era un uomo che attendeva all’agricoltura e, non contento del frutto del proprio lavoro, guardava con invidia quello degli altri e continuava a rubare il raccolto dei vicini. Sdegnato della sua avidità, Zeus lo trasformò in quell’insetto che chiamiamo formica; ma esso, mutata natura, non mutò costumi, perché anche oggi gira per i campi, raccoglie il grano e l’orzo altrui e li mette in serbo per sé.

La favola mostra che chi è cattivo di natura, anche se è gravemente punito, non muta costumi.

LA FORMICA E LO SCARABEO.       

Nella stagione estiva la formica s’aggirava per i campi, raccogliendo grano e orzo, e mettendolo in serbo come sua provvista per l’inverno. Lo scarabeo l’osservava e faceva gran meraviglie della sua eccezionale attività, perché essa s’affannava a lavorare proprio nella stagione in gli altri animali hanno tregua dalle loro fatiche e si danno alla bella vita. La formica non disse nulla, lì per lì; ma più tardi, quando sopraggiunse l’inverno, e la pioggia lavò via tutto lo sterco, lo scarabeo affamato andò da lei, scongiurandola di dargli un po’ da mangiare: “Oh scarabeo “, gli rispose quella, “il cibo non ti mancherebbe ora, se tu avessi lavorato allora, quando io m’affaccendavo e tu mi canzonavi”.

Così coloro che nel momento dell’abbondanza non pensano al futuro, quando i tempi cambiano, debbono sopportare le più gravi sofferenze.

L’UCCELLATORE E LA PERNICE                 

Un uccellatore, essendo giunto da lui un ospite a sera tarda e non avendo nulla da imbandirgli, si volse alla sua pernice addomesticata e stava per ucciderla, quando questa cominciò ad accusano d’ingratitudine, perché intendeva ammazzarla, dopo esser stato tanto aiutato da lei che attirava gli uccelli della sua razza e glieli consegnava. “Ma questa “, disse lui, “sarà una ragione di più per sacrificarti, se non risparmi nemmeno i tuoi fratelli!”

La favola mostra che chi tradisce i suoi familiari, non acquista solo l’odio delle vittime, ma anche quello di chi si giova del suo tradimento.

LA GALLINA E LA RONDINE           

Una gallina trovò delle uova di serpente e si mise a covarle con cura, finché, a forza di covare, riuscì a farle schiudere. La rondine, che era stata a guardarla, le disse: “Ma perché, stolta, vuoi allevare degli esseri che, appena adulti, cominceranno a far del male a te per la prima?”.

La perversità è incorreggibile, anche se è fatta segno ai più grandi benefici.

LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO  Un tale possedeva una bella gallina che faceva le uova d’oro. Pensando che avesse un mucchio d’oro nelle viscere, egli la uccise, e trovò che dentro era fatta come tutte  le altre galline. Così, per la speranza di trovar la ricchezza tutta in una volta, restò privo anche del suo modesto provento.

Contentatevi di quello che avete e guardatevi dall'essere insaziabili.

IL DEPOSITARIO E IL GIURAMENTO        

Un tale aveva ricevuto un deposito da un amico e contava di non restituirglielo. E poiché l’amico lo invitava a prestar giuramento, a buon conto, partì per la campagna.  Giunto alle porte della città, vide uno zoppo che stava per uscirne, e gli chiese chi fosse e dove fosse diretto. Quello rispose che era il Giuramento e che andava a punire gli spergiuri. Allora egli gli domandò quanto tempo stava, di solito, prima di tornare in una città. “Quarant’anni; qualche volta anche trenta”, rispose l’altro. Dopo di ciò, senza esitare, l’uomo prestò giuramento, affermando di non aver mai ricevuto quel tal deposito. Ma si trovò addosso il Giuramento, che lo condusse con sé per buttarlo giù da un precipizio. L’uomo protestava perché, dopo avergli dichiarato che ritornava ogni trent’anni, non gli aveva lasciato nemmeno un giorno di respiro. “Devi sapere”, gli rispose il Giuramento, “che, quando mi si vuol provocare, allora ho l’abitudine di tornare anche in giornata”.

La favola mostra che non ci sono date fisse per la vendetta di Dio contro gli empi.

IL NAUFRAGO

Un ricco Ateniese compiva, insieme con altri passeggeri, un viaggio per mare. Si levò una gran tempesta e la nave si capovolse. Mentre tutti gli altri nuotavano, l’Ateniese continuava ad invocare Atena, facendole un monte di promesse, se mai riuscisse a salvarsi. Allora uno dei naufraghi, che stava nuotando lì accanto, gli disse: “Intanto che chiami Atena, muovi un po’ le braccia anche tu! “.
Noi pure, dunque, oltre a pregar gli dèi, dobbiamo provvedere personalmente ai fatti nostri. E’ preferibile guadagnarsi il favore del cielo coi propri sforzi, anziché esser salvati dalla divinità mentre noi trascuriamo i nostri stessi interessi. 

Quando capita una disgrazia, bisogna aiutarci con tutte le nostre forze e, così facendo, invocare anche l’ aiuto di Dio.

IL PASTORE E LE SUE PECORE                  

Un pastore aveva condotto le sue pecore in un bosco di querce. Vedendo un albero grandissimo carico di ghiande, stese a terra il mantello e andò su, per scuoterne i frutti. Le pecore, mangiando le ghiande, senza accorgersene; gli mangiarono insieme anche il mantello. Quando il pastore fu sceso, avvedendosi del guaio, esclamo: “Brutte bestiacce! fate la lana per i vestiti degli altri, e a me che vi do da mangiare avete portato via anche il mantello”.

Così molti uomini, per ignoranza, beneficiano degli estranei con cui non hanno nulla a che fare e si comportano villanamente con i loro familiari.

IL RAGAZZO CHE FACEVA IL BAGNO        

Una volta un ragazzo che faceva il bagno in un fiume stava per affogare. Vedendo uno che passava di là si mise a chiamarlo, che lo aiutasse. Quello cominciò a fargli rimproveri per la sua imprudenza. “Ma salvami, adesso” gli disse il fanciullo. “Poi, quando m’avrai salvato, farai la predica”.

Questa favola si applica a coloro che offrono spontaneamente lo spunto agli altri per offenderli.

IL PASTORE CHE INTRODUCEVA IL LUPO NELL’OVILE E IL CANE

Un pastore, dentro l’ovile spingendo il gregge, insieme un lupo per poco non ci chiuse. Ma il cane se n’avvide. “Bravo!”, gli disse, “staranno bene, codeste pecorelle, se dentro un lupo ci metti in compagnia!”.

La compagnia dei malvagi può procurare gravi danni  ed essere anche causa di morte.

LA PECORA TOSATA

Stavano tosando malamente una pecora. E quella disse a colui che la tosava: “Se vuoi della lana, taglia più in su; ma se desideri della carne, ammazzami una volta tanto e smettila di torturarmi a poco a poco”.

La favola è adatta per coloro che fanno malamente il loro mestiere.

PROMETEO E GLI UOMINI

Obbedendo a un ordine di Zeus, Prometeo plasmò gli uomini e le bestie. Ma quando Zeus si accorse che le bestie erano molto più numerose degli uomini, gli ordinò di disfare un po’ di bestie per ridurle a uomini. Prometeo eseguì l’ordine. Ecco perché tutti coloro che la forma umana non l’avevano ricevuta originariamente, hanno la forma da uomo, ma anima da bestia.

Ecco una favola buona per un uomo grossolano e bestiale.

LA ROSA E L’AMARANTO                

Un amaranto cresciuto vicino a una rosa le disse: “Che splendido fiore sei tu. Ti desiderano gli dèi e gli uomini, ti invidio per la tua bellezza e per il tuo profumo”. “O amaranto”, gli rispose la rosa, “io non vivo che pochi giorni e anche se nessuno mi recide, appassisco; ma tu fiorisci e vivi sempre così, in perenne giovinezza”.

Meglio durare a lungo, contentandosi di poco, che, dopo sfarzo, mutar sorte o magari morire.

IL MELOGRANO, IL MELO, L’OLIVO E IL ROVO                

Il melograno, il melo e l’olivo vantavano ciascuno la propria feracità. La discussione si faceva animata, quando il rovo, che li udiva dalla siepe vicina, saltò su a dire: “Olà, amici, finiamola una buona volta di litigare!”.

In tal modo, quando i migliori sono intenti a litigare, anche quelli che non valgono nulla cercano di darsi delle arie.

IL TROMBETTIERE              

Il trombettiere, preso dal nemico mentre chiamava a raccolta l’esercito, si mise a gridare: “O soldati, non ammazzatemi così alla leggera e senza alcun motivo. Io non ho mai ucciso nessuno di voi e, all’infuori di questa tromba non posseggo altra arma”. “Ragion di più per ammazzarti”, risposero quelli; “non sei capace di combattere tu, e inciti gli altri a farlo”.

La favola mostra che i più colpevoli sono coloro che incitano al male i principi cattivi e crudeli.

LA TALPA E SUA MADRE                 

Una talpa, animale cieco di natura, annunziò a sua madre che ci vedeva. Questa, per metterla alla prova, le diede un granello d’incenso e le domandò che cos’era. Essa dichiarò che era una pietruzza. “Creatura mia”, esclamò allora la madre, “tu non solo non ci vedi, ma hai perso persino l’odorato!”.

Così ci sono dei fanfaroni che promettono l’impossibile e poi fanno figuracce nelle cose più semplici.

IL CINGHIALE E LA VOLPE            

Un cinghiale s’era messo vicino a un albero e vi aguzzava sopra le zanne. La volpe gli chiese perché mai, quando né cacciatori né altro pericolo gli sovrastava, egli aguzzava i denti. “Non lo faccio certo senza perché”, rispose il cinghiale. “Se mi capitasse addosso qualche guaio, allora non avrei più il tempo per affilarle; ma se saranno pronte, me ne servirò”.

La favola insegna che i preparativi si devono fare prima che si presenti il pericolo.

IL CINGHIALE, IL CAVALLO E IL CACCIATORE

Un cinghiale e un cavallo andavano a pascolare nello posto. Ma il cinghiale tutti i momenti calpestava l’erba e intorbidava l’acqua al cavallo, il quale, per vendicarsi, ricorse all’aiuto di un cacciatore. Questo gli rispose che non poteva far nulla per lui, se non si rassegnava a lasciarsi mettere il freno e a prenderlo in groppa; e il cavallo acconsentì a tutte le sue richieste. Allora il cacciatore gli salì in groppa, mise fuori combattimento il cinghiale e poi, condotto seco il cavallo, lo legò alla greppia.

Così molti, mossi da un cieco impulso di collera, per vendicarsi dei propri nemici, si precipitano sotto il giogo altrui.

LA SCROFA E LA CAGNA CHE SI INSULTAVANO A VICENDA      

La scrofa e la cagna si insultavano a vicenda. La scrofa prese a giurare che lei per Afrodite! avrebbe sbranato la cagna. E la cagna, beffarda, le disse: “Sì, fai bene  a giurarmelo su Afrodite, perché tutti sanno che la dea ti vuole un gran bene. Quelli che hanno assaggiata la tua sporca carnaccia, non permette nemmeno che entrino nel suo tempio!”. “Ma questa”, disse l’altra, “è una prova lampante dell’affetto che la dea nutre per me, perché essa respinge chiunque mi uccida o mi faccia in qualche modo del male. Quanto a te, poi, tu puzzi da viva e puzzi da morta”.

La favola mostra come un abile oratore possa accortamente convertire in elogi gli insulti ricevuti dai nemici.

LE VESPE, LE PERNICI E IL CONTADINO

Vespe e pernici, afflitte dalla sete, andarono da un contadino a chiedergli da bere, promettendo che, in cambio l’acqua, gli avrebbero resi questi servizi: le pernici,  di zappargli la vigna, e le vespe, di tener lontani i ladri con i loro pungiglioni, facendovi la guardia tutto attorno.Il contadino rispose: “Ma io ho due buoi, che non promettono nulla e mi fanno tutto; dunque è meglio che dia da bere a loro che a voi”.

La favola va bene per certi uomini rovinosi che, promettendo di aiutarci, ci recano gravi danni.

LA VESPA E IL SERPENTE

Una vespa, posatasi sulla testa di un serpente, lo tormentava, pungendolo senza tregua col suo aculeo. Quello sconvolto dal dolore, non riuscendo a vendicarsi della sua nemica, cacciò la testa sotto la ruota di un carro sì morì lui insieme con la vespa.

La favola mostra che c’è della gente disposta a morire pur far morire i suoi nemici.

LA CICALA E LA VOLPE

Una cicala cantava sull'alto di una pianta. Una volpe, che aveva voglia di mangiarsela, escogitò una trovata di questo genere: si fermò là dirimpetto e cominciò a far meraviglie per la dolcezza del suo canto e a pregarla di scendere, dichiarando che desiderava vedere com’era grossa la bestia dotata di una voce così potente. La cicala, che sospettava il suo gioco, staccò una foglia e la gettò giù. La volpe le si precipitò addosso, come avrebbe fatto con la cicala. E quella: “Ti sei sbagliata, cara mia, se speravi che io scendessi. Io, dal giorno che ho veduto delle ali di cicala in un cacherello di volpe, delle volpi non mi fido”.

Le sventure del prossimo rendono accorti gli uomini di buon senso.

LA CICALA E LE FORMICHE

In una giornata d’inverno le formiche stavano facendo seccare il loro grano che s’era bagnato. Una cicala affamata venne a chiedere loro un po’ di cibo. E quelle le dissero: “Ma perché non hai fatto provvista anche tu, quest’estate?”. “Non avevo tempo”, rispose lei, “dovevo cantare le mie melodiose canzoni”. “E tu balla, adesso che è inverno, se d’estate hai cantato!”, le dissero ridendo le formiche.
La favola mostra che, in qualsiasi faccenda, chi vuol evitare dolori e rischi non deve essere negligente.

IL MURO E IL CHIODO       

Un muro, trafitto brutalmente da un chiodo, gridava: “Perché mi trafiggi, se io non ti ho mai fatto nulla di male?”. E l’altro: “La colpa non è mia, ma di quello mi picchia dietro con tutta la sua forza”.

L’AVARO      

Un avaro aveva liquidato tutto il suo patrimonio e l’aveva convertito in una verga d’oro; poi l’aveva sotterrato in un certo luogo, sotterrandoci insieme la sua vita e il suo cuore, e tutti i giorni andava a farci un’ ispezione. Un operaio lo tenne d’occhio, subodorando la verità, andò a scavare e si portò via la verga. Dopo un po’ arrivò anche l’avaro e, trovando la sua buca vuota, cominciò a piangere e a strapparsi i capelli. Ma un tale, che l’aveva visto lamentarsi così dolorosamente, quando ne seppe la ragione, gli disse: “Non disperarti così, mio caro; tanto, oro non ne avevi nemmeno quando lo possedevi. Prendi una pietra, mettila al suo posto, e immagina d’avere il tuo oro: ti farà lo stesso servizio; perché vedo bene che, anche quando il tuo oro era là, tu non ne facevi nulla”.

La favola mostra che nulla vale possedere una cosa senza goderla.

IL FABBRO E IL SUO CANE

Un fabbro aveva un cane che continuava a dormire mentre lui lavorava; appena però si metteva a tavola, se lo trovava al fianco. “Brutto poltrone”, gli disse, gettandogli un osso, “dormi quando io batto l’incudine; ma basta che muova le mascelle, e ti svegli subito!”.
La favola svergogna i dormiglioni, i pigri e tutti quelli che vivono delle altrui fatiche.

LA RONDINE FANFARONA E LA CORNACCHIA                
La rondine diceva alla cornacchia: “Io sono una fanciulla, e sono d’Atene, e sono di sangue reale, e sono figlia del re d’Atene”, e continuava, con la storia di Tereo, e della violenza subita, e del taglio della lingua. “T’han tagliata la lingua”, disse la cornacchia, “e hai tanta parlantina! Che cosa mai succederebbe se ce l’avessi?”.

I fanfaroni, a forza di parlare a vanvera, con i loro discorsi si smentiscono da soli.

LA TARTARUGA E L’AQUILA           

Una tartaruga pregava un’aquila perché le insegnasse a volare, e quanto più questa le dimostrava che era cosa aliena dalla sua natura, tanto più l’altra insisteva nelle sue preghiere. Allora l’aquila l’afferrò tra gli artigli, la sollevò in alto, e poi la lasciò cadere. La tartaruga casco su una roccia e si fracassò.

La favola mostra come, a dispetto dei consigli dei saggi, molti si rovinino per voler scimmiottare il prossimo.

LA TARTARUGA E LA LEPRE           

Una tartaruga e una lepre continuavano a far discussioni sulla loro velocità. Finalmente, fissarono un giorno e un punto di partenza e presero il via. La lepre, data la sua naturale velocità, non si preoccupò della cosa: si buttò giù sul ciglio della strada e si addormentò. La tartaruga, invece, consapevole della sua lentezza, non cessò di correre, e così, passando avanti alla lepre che dormiva, raggiunse il premio della vittoria.

La favola mostra che spesso con l’applicazione si ottiene più che con i doni naturali non coltivati. 

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